domenica 13 settembre 2009

Fra Filippo, il saio e le donne.

I germi del rinascimento
Dal 1402 Lorenzo Ghiberti è impegnato alla fusione dei pannelli di bronzo della Porta Nord del Battistero, Donatello sta lavorando al 'David' del Bargello e, poco dopo, realizzerà per Orsanmichele le statue di San Marco e di San Pietro e, nel 1415-17, il San Giorgio con la sua predella a rilievo 'stiacciato' che contiene il primo esempio di prospettiva matematica inserita in un bassorilievo. La solenne riapertura, nel 1412, dell'Università di Firenze, si accompagna agli studi di Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini, che traducono Aristotele e Lucrezio, mentre gli emissari della compagnia di Giovanni 'di Bicci', vero fondatore della ricchezza della famiglia Medici, continuano a cercare e acquistare nei mercati d'Oriente i più rari esemplari di codici antichi. All'inizio degli anni Venti Filippo Brunelleschi dà il via, con il Loggiato degli Innocenti, al primo di una lunga serie di monumenti architettonici che diventano il manifesto del nuovo Rinascimento. Il 1427 infine è la data presunta per la composizione della Trinità di Masaccio, che sancisce il pieno possesso da parte dell’uomo dello spazio, razionalmente e proporzionalmente dominato attraverso l'uso della prospettiva. Siamo ai prodromi dell’umanesimo.

Filippo
Filippo di Tommaso Lippi nasce a Firenze nel 1406 da una famiglia modesta, che abita in Oltrarno nella contrada detta Ardiglione, fra via dei Serragli e il convento del Carmine.

(Versione 1- dal sito restaurofilippolippi.it) Persa la madre "non molto dopo averlo partorito", a due anni Filippo resterà orfano anche del padre Tommaso, di professione 'beccaio' (cioé macellaio), e viene affidato, insieme al fratello Giovanni, di due anni più grande alle cure monna Lapaccia, una zia sorella del padre. La povertà dei mezzi costringe la zia, dopo averlo "allevato con suo disagio grandissimo" fino all'età di otto anni, a chiedere aiuto ai frati carmelitani del vicino Convento del Carmine, che accolgono e allevano i due ragazzi cercando di dar loro un mestiere e un futuro.

(Versione 2- dalla monografia di Marchini) Come si ricava dall’atto di professione dei voti nel convento del Carmine di Firenze, stilato il 18 giugno Giugno 1421, la madre Antonia di Ser Bindo Servigi, vedova e “miserabile”, cioè sprovveduta di mezzi da non essere tassabile, lo aveva posto nel suddetto convento all’età di otto anni.


L'8 giugno del 1421 (18 per la monografia, che precisa “il milanesi aveva riferito erroneamente l’8”), superato come voleva la Regola il quattordicesimo anno d'età, Filippo professa i voti, mantenendo lo stesso nome di battesimo. Dal 1422 al '32 Filippo resterà nel convento; varie notizie ci informano sulla presenza e la vita di Fra Filippo al Carmine, nonché di un suo viaggio a Pistoia (luglio ‘24) e ancora a Siena e a Prato (agosto ‘26).
Destro ed ingegnoso nelle azioni di mano
Nel convento Filippo studia, ma non sembra molto
versato nell'apprendimento delle lettere, rivelandosi invece "destro ed ingegnoso nelle azioni di mano". "In cambio di studiare - ricorda il Vasari - non faceva mai altro che imbrattare con fantocci i libri suoi e degli altri; onde il priore si risolvette a dargli ogni comodità ed agio d'imparare a dipignere".
Gli esempi su cui il ragazzo si forma, nella Firenze del 1417-'23, sono i maestri tardo gotici ma anche, e soprattutto, le novità di Donatello, Luca della Robbia, Brunelleschi: nel suo linguaggio entrano elementi quali la prospettiva, che inquadra cosa e persone nello spazio, la plasticità corposa delle figure, l'ispirazione a modelli classici.

Felice Brancacci
Il caso vuole che dal 1422, grazie al testamento del ricco mercante Felice Brancacci, la chiesa di Santa Maria del Carmine diventi lo scenario di un evento dirompente per la storia della pittura italiana. Il Brancacci fa costruire per la sua famiglia una cappella la cui decorazione viene affidata, nel 1424, a Masolino da Panicale. Questi porta con sé nell'impresa il giovane Masaccio, cinque anni più vecchio di Filippo (1401-1428, lo chiamavano così perché era sempre sporco), uno dei massimi geni dell'arte del Rinascimento.
Nel cantiere della Cappella Brancacci si riversa, ammirata, tutta la città, mentre Fra Filippo vede nascere sotto i suoi occhi un capolavoro che parla un lingua nuova e modernissima: "Ogni giorno per suo diporto la frequentava, e quivi esercitandosi del continovo in compagnia di molti giovani che sempre vi disegnavano, di gran lunga gli altri avanzava di destrezza e di sapere..."
La tradizione vasariana vuole dunque che Fra Filippo abbia imparato l'arte davanti agli affreschi di Masaccio, e che poi ne abbia riprodotto i moduli in una serie di opere dipinte nel convento e nella chiesa del Carmine, oggi tutte perdute tranne una (la cosiddetta Conferma della Regola Carmelitana - a lato - affrescata nel chiostro entro il 1431) a causa del terribile incendio che nel 1771 danneggiò gravemente il complesso. "E così ogni giorno facendo meglio, aveva preso la mano di Masaccio si che le cose sue in modo simili a quelle faceva, che molti dicevano lo spirito di Masaccio essere entrato nel corpo di Fra Filippo".

Nel 1430 Filippo è presente nelle annotazioni del convento qualificato – per la prima volta –come "dipintore" (Poggi, 1936), mentre nel 1431 il Lippi figura iscritto alla Compagnia di Santa Maria alle Laudi, alla quale era affiliato Masolino (Caioli, 1958). E' probabile che abbia abbandonato il convento entro il 1432, ma i successivi documenti che lo ricordano con certezza sono del 1434 quando, il 1° di luglio, riceve 11 once di oltremarino per dipingere il Tabernacolo delle Reliquie nella Basilica del Santo a Padova (Guidaldi, 1928). Varie fonti (il Filarete, l'Anonimo Morelliano, il Vasari) ricordano una serie di opere dipinte nella Basilica del Santo, come "Una Coronazione della Nostra Donna a fresco" e un intervento nella decorazione della cappella del Podestà, ma tutta la sua attività di questo periodo è andata perduta.

Il ratto del Lippi
In questi anni si colloca anche un episodio curioso raccontato dal Vasari e dal novellista Matteo Bandello (che diceva averlo saputo da Leonardo da Vinci) ma di cui non esistono prove: trovandosi nella Marca d'Ancona ed uscito a pesca in barca con alcuni amici, il Lippi sarebbe stato catturato dai pirati saraceni e tenuto schiavo per diciotto mesi, finché la sua bravura nel dipingere un ritratto del suo padrone non gli avrebbe fatto riguadagnare la libertà.
Dopo l’esperienza saraceno-padovana, ritroviamo con certezza Fra Filippo a Firenze nel 1437 quando, l'8 di marzo, un certo Jacopo di Filippo orafo si fa garante per lui su un anticipo di 40 fiorini per la pittura della Pala dell'altare Barbadori nella chiesa di Santo Spirito a Firenze (oggi al Louvre).


Datata 1437-8 la pala è già il frutto di uno stile maturo dove si ritrovano tutte le caratteristiche del Lippi: la capacità di reinventare un modello iconografico tradizionale, il movimento e la caratterizzazione somatica dei personaggi, l'inserimento della scena in un recinto architettonico aperto verso l'esterno (qui un cielo azzurro e un paesaggio collinare), l'uso di formule derivate dalla statuaria classica per realizzare figure di grande evidenza plastica. Tornano le caratteristiche marmorizzazioni lippesche e lo schema coloristico basato sulle alternanze cromatiche, con i toni caldi concentrati nel primo piano, al centro della scena, e i toni freddi a suggerire la profondità spaziale. La predella con tre scene è agli Uffizi: San Frediano devia il corso del Serchio; Annunciazione della morte della Vergine e arrivo degli Apostoli; Apparizione dello Spirito Santo a Sant'Agostino .



1437 è anche la data segnata nel cartellino ai piedi della Madonna di Tarquinia, eseguita per il cardinale Vitelleschi, arcivescovo di Firenze dal 1435 al '37, uno dei primi punti fermi del catalogo lippesco. La tavola si avvicina per la potenza plastica delle figure (in particolare il Bambino) alle cantorie di Donatello e Luca Della Robbia (in particolare alle Cantorie del Duomo di Firenze, concluse verso il 1438), a cui si aggiungono un naturalismo ottico alla fiamminga nell'impaginazione prospettica dello spazio e un uso particolare della luce che fa del volto della Vergine il centro focale dell'immagine. Il rispetto della tradizione, che sempre il Lippi unisce alle sue ardite innovazioni, è qui rappresentato dalla raffinata cornice tardo-gotica.


La fama del pittore è nel frattempo arrivata ai massimi livelli. Il 1° aprile del 1438 Domenico Veneziano scrive una lettera da Perugia a Piero di Cosimo de' Medici, per chiedere lavoro (si tratta di una pala d'altare che Cosimo vorrebbe far dipingere) assicurando di poter mostrare la sua abilità, non inferiore a quella del Lippi (che è "bon maestro") e dell'Angelico.

L'anno successivo, il 13 agosto 1439, è lo stesso Lippi a scrivere a Piero de' Medici, cercando affannosamente di ottenere denaro o cibarie in cambio di una sua tavola ancora incompiuta, e affermando di essere "uno de' più poveri frati che sia in Firenze", con sei nipoti fanciulle da marito, inferme e incapaci di lavorare. Il bisogno continuo di denaro, la lentezza nel consegnare le opere commissionate e una certa propensione per le donne e la vita sregolata saranno un leitmotiv nella vita di Fra Filippo, facendone, al contrario dell'Angelico, un personaggio molto discusso. Già dal '39, ad esempio, è probabile che non abitasse più nel convento del Carmine ma avesse casa per conto suo. Come pittore, però, è stimatissimo, e le sue opere vengono richieste da famiglie di alto livello come i Martelli, legati ai Medici: per loro, che detengono il patronato della Cappella degli Operai in San Lorenzo, dipinge verso il 1440-42 una Annunciazione che passa attraverso il modello della 'Annunciazione Cavalcanti' di Donatello in Santa Croce e che dimostra come la cultura figurativa dell'artista non si sia fermata agli esempi della pittura ma sia stata molto sensibile anche alle novità proposte dalla scultura.




Fra il 1439 e il '47 realizza una altro capolavoro, la cosiddetta Incoronazione Maringhi degli Uffizi, commissionata dal canonico Francesco Maringhi per l'altar maggiore di Sant'Ambrogio. La grande pala diventa subito uno dei dipinti più ammirati della città, come attestano i molti disegni che gli artisti del tempo hanno tratto da ogni singola parte della vasta e ricchissima composizione.

Lippi costruisce qui uno scenografico affollamento di personaggi (angeli, santi, personaggi biblici...) in atteggiamenti vari e informali e dai volti realistici come ritratti: impresa assolutamente nuova per quel tempo. Insolito anche il fondo a strisce azzurre. Un autoritratto del Lippi è indicato nel monaco in basso a sinistra, nascosto dal Sant'Antonio Abate in primo piano (particolare a fianco). Per questa tavola Fra Filippo sarà pagato, compresi i materiali, ben 1.200 fiorini. Accanto a lui, i documenti citano almeno tre aiutanti fra cui il giovane Fra Diamante, poi suo strettissimo e fraterno collaboratore per il resto della vita.

Nel frattempo, risulta che Fra Filippo abbia dipinto la cassa per le esequie di Sant'Andrea Corsini (1440), lavorato per il convento delle Murate (1443, 'Annunciazione' della Alte Pinakotek di Monaco) e per la Cancelleria del Palazzo dei Signori (alias Palazzo Vecchio, pagamento del 16 maggio 1447: il documento è citato da Filippo Baldinucci ma oggi è perduto). Ai lavori eseguiti per Palazzo Vecchio appartiene quasi certamente la Apparizione della Vergine a San Bernardo oggi alla National Gallery di Londra, che nella forma anomala denuncia la sua destinazione a sovrapporta.
Nel frattempo il Lippi, con bolla del 23 febbraio 1442, era stato nominato da papa Eugenio IV Rettore e Abate Commendatario a vita della chiesa di San Quirico a Legnaia, presso Firenze, e subito investito del beneficio. Addetto alla stessa chiesa risulta (da una nota del 1447) anche il fratello Giovanni. Il beneficio non avrebbe però risolto i continui problemi economici del frate, come dimostra un episodio avvenuto nel 1450.

"Qui plurima et nefanda sclera perpetravit” (per una firmetta)
Alla fine di questo anno Fra Filippo avrebbe dovuto versare a Giovanni di Francesco del Cervelliera, pittore, una cifra di 40 fiorini per le sue prestazioni di aiuto e discepolo nella bottega. Non avendo onorato l'impegno ed essendo per questo chiamato in giudizio, il Lippi esibì una ricevuta di versamento della cifra pattuita falsificando la firma dell'allievo. La lite finì davanti al Vicario arcivescovile di Firenze il quale, stante le recise affermazioni contrastanti dei due, li mise in carcere entrambi e li interrogò sotto tortura. Il Lippi, in seguito alla fuoriuscita di un'ernia, confessò la sua falsificazione e fu scarcerato, ma la vicenda non sarebbe più stata dimenticata nell'ambiente ecclesiastico fiorentino tanto che, il 19 maggio 1455, la rettorìa di San Quirico a Legnaia gli sarebbe stata formalmente revocata, sia per la condanna di cinque anni prima sia "perchè poco sollecito dei suoi doveri".

Trascorre un solo anno e il frate è di nuovo nei guai: l'11 settembre 1451 viene sottoposto a un secondo processo, questa volta per aver fatto eseguire alla propria bottega una tavola che il committente, Antonio del Branca di Perugia, aveva espressamente richiesto fosse dipinta da lui personalmente. Stavolta il giudizio - del laico Tribunale di Mercatanzia - deve essergli stato favorevole, perché il prezzo di 70 fiorini gli viene saldato.

Prato, "la più eccellente di tutte le cose sue" (Vasari)
Nel 1452, mentre a Firenze viene inaugurata la terza Porta del Battistero, quella del 'Paradiso', a Prato ed Arezzo prendono il via due imprese pittoriche di grande rilievo, emblematiche dei livelli più alti raggiunti dalla pittura: gli affreschi di Filippo Lippi per il Coro di Santo Stefano a Prato (1452-65) e quelli dovuti a Piero della Francesca nell'abside della chiesa di San Francesco ad Arezzo (1452-62). La lunga avventura della decorazione del Coro della Pieve di Santo Stefano a Prato occuperà Lippi fino al 1465.

Stanziata per gli affreschi e la vetrata la somma di 1.200 fiorini e ricevuto nel marzo del '52 il rifiuto del Beato Angelico, il Comune di Prato decide di affidare il prestigioso incarico a Fra Filippo, che subito accetta e si reca a Prato: il suo nome compare nei documenti fino dal 6 di maggio. Pur di averlo, gli Operai di Santo Stefano si impegnano (8 agosto) a pagare una penale di 22 fiorini a Leonardo Bartolini, che ha commissionato al Lippi un Tondo con Storie della Vergine e teme che il pittore non riuscirà più a terminarlo per la data convenuta (8 dicembre). Il pittore evidentemente non fece onore al suo impegno e Bartolini (16 aprile ’53) riceve i fiorini pattuiti.

Il dipinto costituisce uno dei primi e più grandi esemplari di tondo rinascimentale, fonte di ispirazione per lo stesso Botticelli, ed è realizzato con una impaginazione innovativa. Per la prima volta il Bambino sta seduto sul grembo della Madre mentre, nel secondo piano, alcuni episodi richiamano la storia della nascita della Vergina e illustrano un tema molto in voga nel Quattrocento: il concepimento 'macolato ' o 'immacolato' di Maria (Ruda, 1993). La costruzione geometrica è rigorosamente aderente alla prospettiva lineare, come in Piero della Francesca e nel Mantegna, ma questa razionalità è come nascosta e i modelli della composizione, molto scenografica e volta a drammatizzare la rappresentazione, sembrano venire ancora una volta dalla scultura (il Ghiberti della Porta del Paradiso).

A pezzi e bocconi
Il 13 Luglio ‘53 Lippi è di nuovo in causa, con tale Lorenzo Manetti, che lo accusava di aver preteso troppo e in anticipo per la sua tavola, rischiando addirittura la scomunica. Nel frattempo la decorazione della Cappella Maggiore di Santo Stefano, molto impegnativa, prosegue a singhiozzi. Si svolgerà nell'arco di tredici anni fra interruzioni, richieste di denaro, solleciti per la conclusione dei lavori, fughe del pittore, verifiche e rinegoziazioni del contratto. (prossimo post) Intanto il frate avrà modo di dipingere molte altre opere, specie nei mesi invernali, quando il freddo avrebbe comunque reso impossibile lavorare sui ponteggi di Santo Stefano.

Fra le altre, eseguirà per l'Opera Pia fondata da Francesco Datini la tavola con la cosiddetta Madonna del Ceppo (pagamento finale 8 maggio 1453), le monumentali Esequie di San Gerolamo (vedi articolo precedente) per il preposto Geminiano Inghirami, il complesso Tondo Cook di Washington con la 'Adorazione dei Magi', una delle più elaborate versioni mai eseguite dell'Adorazione dei Magi, un vero sermone dipinto che illustra la più varia pluralità di temi epifanici.




Si tratta di uno dei primi tondi pervenutici concepiti come opera d'arte autonoma e non come desco da parto o vassoio decorativo. Lo si accosta ad un'opera analoga di Domenico Veneziano, anch'essa raffigurante un'Adorazione dei Magi, e si pensa per entrambi a una committenza medicea. L'occasione potrebbe essere la nascita di Lorenzo il Magnifico (1449) ma ogni tentivo di ricostruzione è ipotetico: l'unica certezza è che un tondo analogo è menzionato nella camera di Lorenzo nell'inventario del 1492, dove lo si stima l'alta cifra di 100 fiorini e lo si assegna al Beato Angelico. La critica moderna ha continuato comunque a dibattere sui nomi di Filippo e dell'Angelico, ipotizzando una collaborazione fra i due o l'intervento, accanto a Filippo, di un allievo dell'Angelico

Ancora al periodo "pratese" risalgono la Pala per Alfonso d'Aragona commissionata da Giovanni de' Medici (assenso all'esecuzione da parte del Comune di Prato il 12 maggio 1456), le quattro vele della volta sopra la tomba di Geminiano Inghirami nella chiesa di San Francesco (dal febbraio 1460, affreschi perduti), la 'Adorazione di Camaldoli' per la cella della famiglia Medici all'interno dell'Eremo e la famosa 'Lippina', cioé la straordinaria Madonna col Bambino e Angeli oggi agli Uffizi che darà il via ad una lunga serie di 'Madonne col Bambino', replicate per i secoli a venire.


E' forse il dipinto più famoso di Fra Filippo, celebrato in ogni secolo, modello iconografico per tutte le Madonne successive comprese quelle del Botticelli. Sono ignote l'origine e la destinazione di questa tavola soprannominata la "Lippina", insolitamente grande per il soggetto, straordinariamente innovativa nella composizione e anticipatrice nell'uso del colore. L'inquadramento della scena in un paesaggio a volo d'uccello è ispirato alla pittura fiamminga ma le fonti iconografiche del gruppo sacro portano ancora una volta allascultura: a Agostino di Duccio e Desiderio da Settignano (Grassi, 1957), a Luca Della Robbia (Del Bravo, 1973) e a Donatello (Ruda, 1993), ma anche agli esemplari romani e a Michelozzo (tomba Aragazzi a Montepulciano). I colori puri della tradizione vengono qui abbandonati e il risultato è un effetto di unità atmosferica che solo Leonardo, più tardi, tornerà a perseguire. Nell'insieme, un effetto naturalistico che dovette sembrare straordinario ai contemporanei. L'importanza del dipinto è testimoniata anche dal fatto che è una delle poche opere del Lippi integralmente autografa.

Il volto è quello, bellissimo, di Lucreza Buti, monaca nel convento pratese di Santa Margherita di cui Fra Filippo è stato nominato cappellano all'inizio del 1456.

Lucrezia Buti
Fra Filippo, molto sensibile al fascino femminile e altresì noto donnaiolo, ne rimase folgorato e se ne innamorò, anche se ormai cinquantenne, a prima vista. Filippo riuscì a convincere convincere le monache a lasciarla posare per la tavola che stava dipingendo per il loro altare. La Pala, oggi al Museo Civico di Prato, rappresenta 'La Madonna che dà la Cintola a San Tommaso tra i Santi Gregorio e Agostino, Tobiolo con l'Angelo e Santa Margherita' che presenta alla Vergine la committente, suor Bartolommea dei Bovacchiesi, all'epoca badessa del Convento. E' probabile che il profilo della Santa Margherita, tanto ammirato da Gabriele D'Annunzio, sia proprio quello di Lucrezia.


Dopo averla fatta posare per i suoi dipinti, Filippo la convince a fuggire dal convento e la porta a vivere nella casa acquistata nel maggio del 1455 dall'Opera del Cingolo. La vicenda amorosa, che tanto scalpore avrebbe provocato nei contemporanei, è ricordata dallo stesso Vasari: "E con questa occasione (del dipinto) innamoratosi maggiormente, fece poi tanto per via di mezzi e di pratiche, che egli sviò la Lucrezia dalle monache, e la menò via il giorno appunto ch'ella andava a veder mostrare la cintola di Nostra Donna, onorata reliquia di quel castello". Lucrezia cioé sarebbe uscita dal convento per assistere, in mezzo alla folla, ad una delle periodiche ostensioni della Sacra Cintola e i due avrebbero approfittato dell'occasione per andare a vivere insieme nella casa di lui.

Era il 1457; le cronache raccontano poi che anche la sorella Spinetta e altre tre suore avrebbero lasciato il Convento per trasferirsi nella casa del Lippi (dove “tenevano colpevoli pratiche con uomini” afferma il Cavalcaselle), ma antichi documenti affermano che poi tornarono nel monastero come novizie e ripresero i voti in seguito al grande scandalo suscitato, alla vergogna caduta sulle innocenti consorelle e alle pressioni dei familiari e della Curia. Fu una lettera anonima ad annunciare che Lucrezia aveva avuto un figlio (Filippino) e ci volle l’intervento di Cosimo de’ Medici per placare lo scandalo. Il Medici ottenne da Pio II che il frate e la monaca fossero sciolti dai voti in modo da potersi così liberamente unire in matrimonio. Cosa che, per la verità, non risulta essere avvenuta, dato che Filippo non sposò mai Lucrezia (“non si volle a nodo matrimoniale legare, amando troppo la libertà”) forse, come dice con una punta di cattiveria il Vasari, "per potere far di sé e dell'appetito suo come gli paresse". Il Lippi e Lucrezia ebbero poi un’altra figlia, Alessandra, nel 1465.

I collaboratori
Di continuo chiede acconti sui lavori che ha fra mano e sempre nuovi ne assume trascinandoli poi tutti in lungo, come emblematicamente dimostra la vicenda degli affreschi di Prato, per i quali s’era scelto un collaboratore, fra Diamante, d’analogo stampo o divenuto tale per contagio, se risulta imprigionato nel 1464 su accusa dei suoi stessi confratelli carmelitani, il cui ordine aveva lasciato da qualche anno per abbracciare quello dei serviti forse proprio per sottrarsi alle sue malefatte” (Marchini).

Oltre a Diamante tra i vari assistenti, allievi e portaborse della bottega di Filippo lippi, il nome più famoso è quello di Sandro Filipepi detto il Botticelli (1445-1510) che, entrato nella bottega del Lippi verso il 1464, quando trovava finalmente compimento il Ciclo pratese, se ne sarebbe allontanato presto, fondando già nel 1470 una propria bottega in Firenze. Da questa esperienza, certo chiusa prima del viaggio del Lippi a Spoleto nel 1467, il Botticelli avrebbe comunque portato con sé certe caratteristiche come la stesura compatta del colore, l'ampiezza delle forme (non lontane dalla scultura di Luca della Robbia) e quel fare gentile che trova la massima espressione nei volti dolcissimi delle sue Madonne.

Filippo e Diamante dovevano comunque essere persone esuberanti e affascinanti, o i pratesi particolarmente facili da gabbare, perché sebbene “non rispettò gi impegni con le sue lungaggini, fu sempre assillante nel chiedere denaro, fu sospettato di averne avuto troppo, eppure uscì dall’impresa col benservito, dopo aver ricevuto una somma enorme per quei tempi, quasi tre volte maggiore del normale, con stima e gratitudine tali da volergli offrire ancora incarichi di fiducia come la decorazione della lunetta del portale maggiore delle stesso duomo”.


Il cantiere di Spoleto
Partito da Prato, nel 1466 Filippo è già al lavoro nel cantiere di Spoleto. L'Opera del Duomo di quella città lo incarica di affrescare con Storie della Vergine la Tribuna della Cattedrale e già l'8 febbraio del '66 il pittore riceve denaro per pagare oro e azzurro; il 2 luglio però non è ancora al lavoro e l'Opera paga 50 fiorini per portarlo a Spoleto. Il 1° ottobre vengono spesi altri 50 ducati ma invano; in novembre e dicembre lo si cerca a Firenze e Prato ma senza trovarlo.

Come già gli affreschi di Prato, anche l'impresa spoletina è destinata a subire ritardi causati dalla discontinuità del pittore che, sempre bisognoso di soldi, continua a tenersi impegnato con la committenza pratese e pistoiese. Il 18 maggio del 1467 consegna infatti un Paliotto alla Compagnia dei Preti della Trinità di Pistoia. Ad aprile, comunque, il Lippi ha preso a Spoleto una casa con orto e il 13 maggio si ha la prima menzione del figlio Filippino per la spesa di un paio di calze: il padre evidentemente lo ha portato con sé come apprendista. Nello stesso mese si alzano in Duomo i primi ponteggi anche se l'inizio dei lavori, con il solito Fra Diamante sempre come collaboratore principale, sembra sia avvenuto solo nel settembre 1467. Siamo al 1468, Lippi riceve il pagamento per la Circoncisione dello Spirito Santo di Prato - dietro all'ospedale -(e pare che usi il denaro per comprare un'altra casa a Prato).

Ad aprile si ammala e deve tornare nuovamente in Toscana. A novembre si registra lo spostamento dei ponteggi nell'abside di Spoleto: finita la grande 'Incoronazione della Vergine' nel catino si scende alle pareti per affrescare le tre 'Storie'; ma il 2 dicembre il pittore è di nuovo malato e sembra aver ricevuto la visita di Antonio Pollaiolo (forse insieme al fratello Piero). Dal luglio 1469 i pagamenti per gli affreschi di Spoleto riportano anche il nome di Filippino, ormai dodicenne, mentre ad agosto si registra l'acquisto di abiti per il garzone Piermatteo d'Amelia e a settembre - rispettivamente il 10 e il 30 del mese - Filippo compra colori e vino. La ripresa è di breve durata: fra l'8 e il 10 di ottobre Filippo muore. Viene sepolto nel Duomo di Spoleto, di fronte alla porta maggiore. In seguito, per interessamento di Lorenzo il Magnifico, il figlio Filippino disegnerà il sepolcro di marmo con il busto a rilievo e un epitaffio dettato da Agnolo Poliziano. Gli affreschi della Tribuna saranno conclusi il 23 dicembre, con un costo complessivo di 700 ducati, dei quali 511 per Filippo, 137 a Fra Diamante e 48 versati in più volte a Filippino dopo la morte del padre.
"Fu fra Filippo molto amico delle persone allegre e sempre lietamente visse - scriverà di lui il Vasari - Delle fatiche sue visse onoratamente e straordinariamente spese nelle cose d'amore, delle quali del continuo, mentre che visse, fino alla morte si dilettò". E così, per chiudere ancora con Vasari “molte cose che di biasimo erano nella vita sua, furono ricoperte mediante il grado di tantà virtù”.

FINE




Il post è un mio collage di informazioni dalle seguenti fonti:

- il sito del restauro di filippo lippi, molto interessante, anche per gli itinerari proposti a Prato.
- il libro di Marchini, Giuseppe: Filippo Lippi, Electa editrice, milano 1975
- il fascicolo di Trame d'arte del Aprile-Maggio 2007, interamente dedicato a Lippi

Domanda: chi viene il 28 alla visita guidata?

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