venerdì 16 ottobre 2009

Caffè Filosofico

Il 15 Ottobre è iniziata a Firenze la "Festa della Creatività" arrivata alla quarta edizione; tra gli innumerevoli eventi c'è anche un "Caffè Filosofico" che avrà come tema "Filosofia, politica, religione" e gli argomenti trattati saranno: l’incontro/scontro fra differenti culture religiose in una società sempre più globale, il senso del “sacro”, il rapporto delicato fra la politica e la religione e fra la Chiesa e lo Stato.

Gli incontri più interessanti credo che siano quelli di Sabato 17 Ottobre e quelli di Domenica 18 Ottobre:
Sabato 17 ottobre, ore 16,00 Religione e politica SERGIO GIVONE, EMILIO GENTILE, CARLO GALLI
Domenica 18 ottobre, ore 16,00 Stato e Chiesa SERGIO CARUSO, GUSTAVO ZAGREBELSKY, PIER PAOLO PORTINARO

A proposito dell'incontro di Domenica con Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale e docente di giustizia costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza di Torino, voglio portare alla vostra attenzione l'esegesi che, giusto ieri, Zagrebelsky ha condotto del momento politico-istituzionale che stiamo traversando, analisi che ritengo molto delucidante.


Gustavo Zagrebelsky e la sua invidiabile lampada da tavolo.
LA DEMOCRAZIA DELEGITTIMATA
di Gustavo Zagrebelsky
Repubblica 15 Ottobre 2009


Si annuncia, anzi è in corso, una crisi istituzionale di vasta portata. A che cosa sia e a che cosa essa chiami coloro che occupano posti di responsabilità nel nostro Paese, sono dedicate le considerazioni seguenti, esposte in quattro punti concatenati tra loro, dall' astratto al concreto.
1. Che cosa sono e a che cosa servono le istituzioni. Il genere umano ha scoperto le istituzioni per mettere a freno l' aggressività e l' istinto di sopraffazione che allignano – in uno più, in altro meno – in ognuno di noi, per diffondere fiducia e cooperazione, garantire un po' di stabilità e sicurezza nelle relazioni umane e proteggere quel tanto di libertà che è compatibile con la vita associata. In una parola: per allontanare sempre di nuovo, ancora di un giorno, le "prove di forza" che accompagnano, come fantasmi che possono materializzarsi, i contatti tra gli esseri umani. Le istituzioni servono innanzitutto a questo: a neutralizzare i nostri istinti distruttivi e a civilizzarci. Poiché nel fondo siamo animali selvatici, possiamo anche dire: servono ad addomesticarci, incanalando e indirizzando le nostre energie in strutture, procedure, garanzie e controlli, così trasformandole, da distruttive, in costruttive di opere durature.
Non sembri eccessivo che, per parlare delle opere e dei giorni del nostro Paese in questo momento, si proceda così da lontano e da fondo, cioè da questa piccola sintesi del celebre scritto di Sigmund Freud sul "disagio della civiltà" (1929). È una messa in guardia a proposito di ciò che accade quando le istituzioni s' indeboliscono o scompaiono, inghiottite dall´ego di coloro che le impersonano e le usano per i loro propri interessi. Oppure – ed è lo stesso – è un ammonimento circa i pericoli di quando si diffonde l´idea che esse siano impacci, o abbiano tradito la loro funzione e siano diventate semplicemente coperture della lotta politica. In breve, si tratta dello scatenamento delle energie peggiori, che le istituzioni e il "senso delle istituzioni" non riescono a controllare. Questo è esattamente il nostro rischio, la china su cui siamo messi a causa di ciò che, con un´espressione abusata di cui non si coglie più la drammaticità, chiamiamo "delegittimazione". Senza istituzioni, tutto diventa possibile. La "prova di forza" pre-politica, cioè fuori delle regole che ci siamo dati per "istituzionalizzare" il fisiologico conflitto politico, è alle porte.
2. Conflitto pre-politico. Guardiamo quello che accade. Lasciamo da parte i troppi che, come sempre accade, aspettano senza scoprirsi di capire come vanno le cose per schierarsi dalla "parte giusta". Accanto ai molti indifferenti, presi dell'assillo d'altri problemi, coloro che si sentono parti in causa sono divisi da una frattura che non possono o non vogliono colmare. Da una parte, c´è chi giurerebbe sulla convinzione che è in corso una congiura contro il presidente del Consiglio e la sua maggioranza, condotta con metodi criminosi da oligarchie irresponsabili e magistrature corrotte politicamente, per un fine antidemocratico: contraddire il risultato di libere elezioni e mettere nel nulla la volontà di milioni di elettori. Sul fronte opposto, si giurerebbe sulla convinzione che, invece, il metodo criminoso è quello di un presidente del Consiglio che, per evitare di rispondere in giudizio di accuse penali assai gravi e infamanti, vuol porsi al di sopra della Costituzione e della legge, cambiandole a suo uso e consumo. Così, due accuse si fronteggiano: di attentato alla democrazia, da una parte; di attentato allo stato di diritto, dall´altra. Questa spaccatura è pre-politica. Non riguarda il come agire dentro le regole della politica che sono date dalla Costituzione, ma addirittura se starci dentro, o uscirne fuori. Vola, infatti, nei due sensi, l'accusa di tentare una forzatura. Qualcuno parla di "golpe", senza rendersi conto di ciò che dice o forse rendendosene ben conto. Quando questo veleno entra in circolo, tutto – atti e parole che, nella normalità, sarebbero inimmaginabili o apparirebbero disgustose intimidazioni e prepotenze – diventa lecito, anche a fini preventivi.
Gli storici diranno di chi è la responsabilità della stasis, del punto morto al quale siamo arrivati. Ma noi ora vi siamo dentro e non possiamo consolarci pensando, ciascuno sulle proprie posizioni, che la storia ci darà ragione. Abbiamo il dovere di districarci nella difficoltà, per noi e i nostri figli, ai quali vorremmo consegnare un Paese pacifico e civile. Non serve a nulla, a questo punto, la ricerca della responsabilità originaria. Serve solo ad attizzare il conflitto. Non serve a nulla lo scambio di accuse tra due fronti che sembrano non ascoltarsi più. Anzi, serve a scavare ancora il fosso e a dare spazio all´avventura. Nessuno ha da rinunciare alle proprie idee, al giudizio su sé e su gli altri. Ma ora si tratta di prendere atto che la spaccatura esiste come "dato", come "cosa" che minaccia le istituzioni e, con esse, la convivenza ch'esse devono assicurare.
3. "Delegittimazione democratica" delle istituzioni". La minaccia alla convivenza va di pari passo con l'indebolimento delle istituzioni, con la loro "delegittimazione". È una storia che viene da lontano, che si ripete ogni volta, con l'affermarsi nella pratica e nel senso comune di un'idea di politica come immedesimazione di un capo nel suo popolo ("voglio essere uno come voi") e di un popolo nel suo capo ("vogliamo essere come te"). Quest'immedesimazione ha assunto nella storia molte forme e molti nomi: democrazia plebiscitaria, demagogia, cesarismo, bonapartismo, peronismo, ecc. Altre forme e altri nomi assume oggi e assumerà in futuro, in conseguenza dei mezzi tecnici di quell´immedesimazione. In ogni caso, però, chi governa immedesimandosi nel popolo sale sul popolo e da lì guarda tutto dall'alto in basso, non concependo che possano esistere limiti e controlli. In nome di che, del resto? Di qualche giudice o giurista parruccone che non rappresenta che se stesso? La politica come immedesimazione o "identitaria" non ha bisogno d´istituzioni; le sono d'impaccio, anzi nemiche. Esse non possono che raffreddare un rapporto che si vuole invece caldo, tra capo e corpo, leader e seguaci. Nascono movimenti, simboli, inni, motti e frasi fatte, eventi e opere, ricorrenze, spettacoli, esempi, che celebrano e rafforzano quel rapporto e quella vicinanza, facendo appello indifferentemente, secondo che occorra, a nobili slanci altruistici o gretti sentimenti egoistici; ora adulando supposte virtù patriottiche, ora stuzzicando nascosti impulsi volgari. Si tratta di rappresentare il "paese reale" per impiantarvi una cosa che viene chiamata democrazia, anzi "vera democrazia", in contrapposizione a quella "falsa", "formale", "vuota", cioè quella mediata dalle istituzioni.
Noi assistiamo a questo processo. In nome della "vera democrazia" (posso fare quello che voglio perché ho il popolo dalla mia parte: vero o falso che sia), le istituzioni che non si adeguano sono indicate come nemiche. Non s'immagina neppure che possano fare onestamente il loro dovere che non è di tenere bordone a questo o quello ma, per esempio, di applicare la legge e di difendere la Costituzione oppure, per le istituzioni dell'informazione, semplicemente di pubblicare notizie. Devono essere necessariamente alleate del nemico. Se il potere è "di destra", le si accuserà d'essere "di sinistra". Se mai il potere fosse di sinistra, la stessa concezione della democrazia le farebbe accusare d'essere "di destra". Ma le istituzioni della democrazia pur esistono e non è pensabile di eliminarle, a favore di una demagogia pura e semplice. Bisogna pur salvare le forme, anche per non essere banditi dal consorzio delle nazioni civili. Allora, via alle intimidazioni o – ed è lo stesso – alle seduzioni e, se non basta, via alle riforme per ridurre l'autonomia e l´indipendenza delle istituzioni non allineate. Così, si cambia regime dall'interno, lasciando l'involucro ma svuotato della sostanza. Così è per il governo, da rendere obbediente al "primus inter pares", per il Parlamento, da ridurre a esecutore passivo del governo; del presidente della Repubblica, per l'intanto da rendere inquilino remissivo, perché non eletto dal popolo (una coabitazione impari, in attesa del presidenzialismo); della Corte costituzionale e della magistratura, da riformare per toglierle dalla sfera del diritto e spostarle in quella della (subordinazione) politica.



Il quarto punto l'ho intenzionalmente resecato, così spezzando la concatenazione, perchè lo trovo meno convincente dei tre punti di analisi precedenti, però se volete vagliarne autonomamente la validità, cliccate su "La democrazia delegittimata" e sarete condotti direttamente all'articolo integro nella "Rassegna stampa della Camera".

domenica 11 ottobre 2009

SGUARDI D'ORIENTE: "Il gusto dell'anguria" di Tsai Ming-Liang (2005)

Un anguria può esprimere quello che le parole non dicono, in questo caldo torrido un anguria è il più grande gesto d'amore. Regalare angurie è il modo più sincero ed economico per dire quello che abbiamo in fondo al cuore, per comunicare alla persona amata quello che altrimenti non oseremo mai. Il codice dell'anguria è diretto, immediato e preciso. Una piccola anguria gialla significa: -tra noi due c'è solo amicizia-. Una grande anguria rossa in dono testimonia il più rovente di tutti gli amori. Una piccola anguria rossa indica un amore timido che sta per esplodere.”

A Taipei Shiang-Chyi è una ragazza che ascolta queste parole alla TV, Hsiao-Kang masturba sadicamente una donna attraverso una grande anguria rossa, la città è in preda ad una grave siccità ed il governo consiglia il consumo di cocomeri. “Il gusto dell'anguria” (ma il titolo originale suona come “La nuvola capricciosa” che deriva da una canzone ed allude alla solitudine degli incontri umani) è il seguito ideale di “Che ora è laggiù?”: Shiang-Chyi torna da Parigi ed incontra Hsiao, l'amore che avevano conosciuto non è mai sparito. Quest'ultimo non vende più orologi (come nel precedente film), è diventato attore porno e lavora in un appartamento nello stesso palazzo dove vive Shiang-Chyi. Il regista Tsai Ming-Liang mostra la solitudine di due personaggi (e del loro amore) in un paesaggio urbano squallido: le composizioni geometriche delle riprese sulle grandi infrastrutture di Taipei mettono in balia della loro alienazione i protagonisti, vuoto esistenziale della città e dei suoi abitanti. Il procedere drammatico cupo e vuoto è intercalato da 5 intermezzi musicali cantati di gusto estremamente kitsch, molto colorati e fantasiosi, è affidato il compito di smorzare i toni e spiegare lo stato d'animo dei personaggi. Questi siparietti sono composti da riprese più mobili e rocambolesche (rispetto al resto): il cinema del silenzio, delle lunghe riprese ferme è una scelta estetica per il regista. (ho inserito in fondo un esempio di intermezzo musicale).

Il film si apre con una lunga inquadratura su di un sotterraneo e una estrema e feticista scena di sesso dove l'anguria è metafora fisica della vagina: il godimento di rimando della donna è il falso sesso della pornografia. Tutto questo in montaggio alternato mentre Shiang-Chyi beve succo d'anguria nel suo appartamento ed economizza come può l'acqua delle bottiglie. Nel loro girovagare i due si rincontrano su di un altalena in un parco. Il regista compone la scena con quattro lunghe statiche inquadrature della durata totale di 6 minuti. Nella prima la protagonista ruba una bottiglia d'acqua, per pulire un anguria, a l'ignaro ex-amante che sta dormendo;

Nella seconda lo riconosce, si siede davanti a lui e rimane a guardarlo fino a che a sua volta si addormenta nella terza.



Nell'ultima inquadratura Hsiao-Kang si sveglia e guarda la ragazza che riconosce, lei si sveglia e gli pone l'unica domanda/dialogo tra i due del film: “ vendi ancora orologi?” confermando l'identità dei protagonisti di “Che ora è laggiù?”.



Il regista nella composizione di questa scena ci invita a guardare. L'immagine è quotidiana, non è costruita per stimolare emozioni facili (vedi: il cinema americano contemporaneo degli effetti speciali). Per fare questo ricorre alla pura semplicità delle immagini ferme ai limiti della noia: non utilizza nessuno espediente tecnico e drammatico per farci rimanere davanti allo schermo. Solo il “Guardare” le immagini ci deve stimolare e porta con sé le informazioni necessarie del film. Lei guarda Lui mentre dorme, Lui guarda Lei mentre dorme e Noi guardiamo loro attraverso la mdp (macchina da presa): è un invito ad indagare il guardare e i suoi punti di vista. La mdp diventa una presenza forte, non mimetizza il suo linguaggio ma ce lo svela con forza come se fosse un personaggio presente nella scena.

Ecco che dopo circa 40 minuti Tsai Ming-Liang riprende i suoi personaggi a lavoro: lei in un museo dove ruba l'acqua dai bagni pubblici e lui nelle vesti di attore porno. Questa è la parte più metacinematografica del film: la mdp riprende un “set pornografico” composto da attore e attrice, operatore, addetto luci e regista.


Il film svela i mezzi del proprio mestiere in modo agghiacciante: lo fa con un porno che celebra drammaticamente il falso sesso come nella prima scena dell'anguria. Non manca l'umorismo: a causa della siccità il regista è costretto a simulare la doccia tramite una bottiglia bucata, e le bottiglie finiranno prima del previsto. Quale è la differenza tra la mdp del film stesso e quella del set pornografico? La “nostra” ci mostra un immagine che dobbiamo indagare (solo 3 inquadrature, 2 lunghe e ultima con eiaculazione facciale forse solo per provocazione) mentre la mdp del porno monta le immagini per dare ad un determinato pubblico una determinata attrazione (cinema degli effetti speciali come cinema pornografico?). Qui (come in una scena allo stesso modo successiva) si concentra la maggior parte dei dialoghi del film: insignificanti. La solitudine dei protagonisti è comunicazione impossibile e solitudine sessuale, anche chi ha dei sentimenti sembra non riuscire a mostrarli a causa di una repressione che sembra costretta. Non a caso Hsiao-Kang si masturba di nascosto mentre guarda la collega recitare, si eccita di fronte al falso e lo fa con vergogna in un impulso di liberazione come di chi è costretto in catene a reprimere la propria sessualità, e anche qui il regista ci mostra in un macro l'eiaculazione dell'attore. E' in un video-noleggio porno che i due protagonisti si scambiano le uniche effusioni del film: un bacio che sfocia in enfasi sessuale improvvisa subito interrotta da Hsiao-Kang come a voler dire “meglio di no, ti voglio bene” che porta con sé un sesso malato.

Il falso come tema portante del film ritorna anche nella composizione drammatica. Tsai Ming-Liang racconta il film attraverso le ombre dei personaggi, proiezioni della realtà. E' un mondo falso che ha bisogno di inventarsi: la ragazza che simula un parto con una anguria. Shiang-Chyi trova la collega di Hsiao-Kang svenuta nell'ascensore, la soccorre, trova dei dvd pornografici in suo possesso. Scopre che il suo ex-venditore di orologi è un attore porno. La ragazza guarda i filmati e noi diventiamo spettatori di una spettatrice non interessata alle emozioni pornografiche del video: ella è sorpresa dalle implicazioni del suo vedere, è costretta dalle immagini a guardare una realtà dura e scomoda.


Da qui si arriva alla scena finale che fece scandalo al festival di Berlino 2005. La ragazza svenuta è riportata nel set pornografico. Show must go on, bisogna girare anche se ha perso i sensi. E' come l'anguria, solo un oggetto portatore di rimando di piacere agli spettatori del porno che di conseguenza guardano l'immagine come dei feticisti dello schermo.

Shiang-Chyi assiste spettatrice da una finestra, i due si fissano in un pessimismo disperato, nel quadro del falso sesso anche lei comincia a gemere, interrotta alla fine dalla cruda fellazione/eiaculazione del protagonista con il viso di lei immerso nel suo sesso.


lunedì 5 ottobre 2009

Esperimenti da fotoreporter - Atto III

ROMA - 3 Ottobre 2009 Manifestazione per la Libertà di Informazione

Articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana (Comma I e II):
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.




I- Il popolo in Piazza del Popolo








II- Persone


Ovviamente Nanni è venuto in Vespa.



Ezio Mauro - Direttore di Repubblica



Eugenio Scalfari - Fondatore di Repubblica


III- Panoramiche pinciane







Ne hanno parlato ampiamente anche il Times ("Thousands to march on Rome in protest at Berlusconi’s press clampdown") e il New York Times ("Thousands Defend Role of Press in Italy").

sabato 3 ottobre 2009

Leonardo (ancora) e le pozzanghere. [Segue da Le Nuvole]

Segue da: "Le Nuvole"

Destare l'ingegno
Leonardo Da Vinci aveva l’abitudine di annotare i suoi pensieri, in qualsiasi luogo si trovasse, su dei singoli fogli, usando poche parole scritte in un codice non sempre comprensibile. Ogni argomento veniva sviluppato e ripetuto diverse volte.
Dopo la morte di Leonardo, il suo erede Francesco Melzi riunì questi scritti in una raccolta, dal titolo di Trattato della pittura, di cui diverse copie circolarono (scusate la ridondanza) nei circoli accademici italiani. Le migliaia di fogli condensati nel Trattato possono considerarsi l’opera più significativa di Leonardo, nonché il suo testo più importante sull’arte.
Ora, cosa c’entra questo con le nuvole?
Nel capitolo XX del Trattato Leonardo suggerisce al pittore una bizzarra pratica ispirativa, la quale sembra alquanto ricordare il processo di immaginificazione delle nuvole descritto nel post precedente. La pratica consiste in:

1) Fissare con lo sguardo una pozzanghera, un muro imbrattato, una macchia qualsiasi
2) Aspettare
3) Ammirare le straordinarie sembianze di volti, paesaggi e quant’altre strabilianti forme ancora vi affiorino.

Così il Da Vinci:

“E questo è: se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se arai a inventionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine de' diversi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi ; ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. E interviene in simili muri e misti come del sono di campane, che ne' loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabulo che tu imaginerai” (p.151)

C’è qualcosa dunque che accomuna i muri imbrattati, le pozzanghere, le nuvole (e le campane) e ne fa un pozzo da cui emergono, attraverso lunga e concentrata osservazione, immagini fantastiche?
Si direbbe che il trait d'union di tutte queste superfici sia il disordine, il caso, la non-struttura. In tutti i casi gli stimoli che ci vengono proposti sembrano costitutivamente ambigui, confusi. “Ci sono altri passi, anche più interessanti, in cui Leonardo esamina la capacità che le cose confuse hanno di destare l’ingegno a nuove invenzioni”.

La macchia, il contorno, il non definito.
Nel 1788 Il medico e poeta romantico tedesco Justinus Kerner utilizzava delle macchie d’inchiostro su fogli di carta piegata per stimolare la fantasia sua e dei suoi amici. Kerner coniò per le sue chiazze il termine Kleksographien (dal tedesco: Kleks = macchia) e scrisse molte poesie sulle misteriose apparizioni che queste macchie gli suggerivano. Essendo uno spiritista (nonché primo medico a documentare l' apparizione di alcuni Geister e fenomeni di medium) non stupisce che si trattasse perlopiù di fantasmi. Il modo in cui queste immagini si formino nelle macchie ci è descritto in versi dallo stesso Kerner:

Diese Bilder aus dem Hades,
Alle schwarz und schauerlich,
(Geister sind's, sehr niedern Grades,)
Haben selbst gebildet sich
Ohn mein Zuthun, mir zum Schrecken,
Einzig nur – aus Tintenflecken.
1[1]

Queste immagini dall’Ade
nere tutte e orribili
(Spirti son, di vile grado)
Da sé la forma si son date
Senza il mio aiuto sorte, per il mio terrore,
così, unicamente, da macchie d’inchiostro.

[Justinus Kerner, Kleksographien. Mit Illustrationen nach den Vorlagen des Verfassers, Stuttgart, Leipzig, Berlin, Wien 1890 (geschrieben 1857),p. 12. ]

E' interessante notare come dal caso e dall'ambiguo se ne escano ancora una volta, involontariamente, delle forme. In tale utilizzo della macchie Kerner (e la sua combriccola) potrebbe essere considerato il predecessore di un illustre psicologo svizzero, tale Hermann Rorschach, che ispirato forse da qualche macchia kleksografica, con cui pare di dilettasse in giovinezza, inventò il noto ed omonimo test psicologico, le macchie di Rorschach. (Tra l’altro si noti la somiglianza tra la Kleksographie di Kerkner qui sotto a sinistra e la tavola 5 del Rorschach a destra).





Il vantaggio del Rorschach sulle nubi è che si può replicare, e confrontare le interpretazioni date da soggetti diversi.

Tanto il test di Rorschach quanto le Kleksographien si fondano su una procedura abbastanza familiare:

1) Fissare con o sguardo una macchia (tavola di Rorschach)
2) Aspettare
3) Descrivere le forme che vi si delineano.

Il Rorschach è un test psicodiagnostico proiettivo.

Pro – getto, dunque.
Proiezione deriva dal latino pro-iacio, letteralmente gettare davanti. Quando staccate un contenuto da voi stessi per poi porvelo davanti agli occhi ed osservarlo, come se fosse qualcosa di esterno, ecco che state proiettando qualcosa che vi appartiene. Assumiamo il termine nel suo significato lato, non specificatamente geometrico (le proiezioni ortogonali) né psicanalitico (per cui il vostro capufficio diventa vostro padre), anche se ci sono tratti comuni ad entrambi questi due sensi.
Ora, la proiezione, ci insegnano gli psicologi, è una facoltà inconscia, particolarmente stimolata in contesti destrutturati, ambigui, non definiti, proprio e non a caso come quelli sopra menzionati. Essa interverrebbe laddove l’informazione è manchevole o poco chiara, provvedendo al suo completamento, alla sua “interpretazione”, attraverso il collegamento col noto, stabilendo un legame con contenuti propri al soggetto che la esercita.
In questo modo si abbozza, in maniera enormemente grossolana e approssimativa, la facoltà che è chiamata in causa da alcuni (Ernst Gombrich, per noi, in particolare) per spiegare il processo di metamorfosi delle nuvole, delle pozzanghere e delle macchie, nonché tutti i processi di illusione, artistica e non, e infine, più in generale, quelli della visione stessa.

I Carracci ed il TAT
Uno tra i primi a rappresentare l'effetto per cui le nuvole assumono sembianze umane fu il Mantegna, che nel quadro "La virtù scaccia il vizio" (il primo in alto) dipinge un volto che assiste alla scena proprio nel cirro in alto a sinistra (particolare qui a fianco).
Sono tuttavia i fratelli Carracci a farci sperimentare giocosamente il modo in cui agisce la nostra, di proiezioni. I due fratelli infatti, oltre ad essere annoverati tra i padri del genere della caricatura (che si basa forse ancora una volta su un gioco proiettivo - quello di un volto noto su uno caricato), sono anche gli inventori dei cosiddetti “indovinelli scherzosi”, che invitano lo spettatore a colmare\completare con l’immaginazione il senso dei tratti da essi abbozzati sulla tela, traendone così il corrispondente significato. Esempio:
cosa vedete nelle disegno qua sotto a sinistra (rettangolo sormontato da triangolo)?

La maggioranza delle persone cui è sottoposta la domanda risponde “Squalo in una vasca”. Questo dà da riflettere su quanto Damien Hirsch (col suo “squalo in formalina”, opera d’arte contemporanea venduta più cara al mondo) e il film Lo Squalo abbiano plasmato la nostra immaginazione. In realtà si tratta, almeno secondo i Carracci, di un frate cappuccino addormentato dietro il pulpito (il fatto che i Carracci avessero più familiarità coi frati che con gli squali è importante per il nostro punto di vista). La retta sormontata da un cerchio e da un triangolo è un muratore con la sua cazzuola, visti di profilo al di là del muro.
In realtà sul foglio ci sono solo quattro linee (e forse anche questa è una proiezione\interpretazione), ma, come si vede, l’operazione proiettiva cui ci invitano i carracci, ben consapevoli del meccanismo della visione, una volta riuscita dona a questi segni un senso preciso.
Ora l'esempio dei Carracci è quasi paradigmatico per capire ed elucidare come la proiezione intervenga del processo della visione. Essa si configura come un’operazione essenziale per la lettura di un immagine in quanto interpreta i segni, li coordina, istituisce dei rimandi tra l'uno e l'altro dando vita ad un insieme dotato di senso.
La proiezione vi aggiunge qualcosa (le relazioni tra i segni?), ed è un aggiunta decisiva per un’attribuzione di senso ed una comprensione di tratti che forse, altrimenti, resterebbero una frammentarietà irrelata, destrutturata e insensata. Essa getta così un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra tre linee e uno squalo, cercando un’interpretazione delle prime attraverso il secondo. La proiezione seleziona e organizza i dettagli\segni percettivi e, mediante il collegamento con il noto, ci restituisce il senso “Di quegl’ enimmi, o divinarelli pittorici, che furono fra essi così frequenti, e che in poche linee, o segni gran cose racchiudevano e rivelavano”.