sabato 18 dicembre 2010

Le bon Dieu est dans le détail.


“Cosa avrebbe da fare il discorso se le cose apparissero già da sole e non avessero bisogno del discorso?". Tre domande generali:

Da una nota di Umberto Eco su Aristotele (e il suo commentatore Aubenque): “In Poetica 1476b 7 (nota Aubenque) si dice: “Cosa avrebbe da fare il discorso se le cose apparissero già da sole e non avessero bisogno del discorso?. Aubenque (1962: 116) cita una pagina degli Elenchi. Poiché non si possono portare nella discussione le cose stesse,ma dobbiamo servirci dei loro nomi come di simboli, noi supponiamo che ciò che avviene nei nomi avvenga anche nelle cose, come del caso dei sassolini che si usano per contare. Ma tra nomi e cose non vi è completa rassomiglianza, i nomi sono in numero limitato, e così la pluralità delle definizioni, mentre le cose sono infinite in numero (e infiniti sono i loro accidenti)” (Kant e L'ornitorinco, n. 10 p. 390)

1) Bordeaux, Granata, Rosso Geranio, Rosso Cadmio, Rosso Tiziano, Borgogna, Carminio, Sangria, Ruggine, Mattone, Rosso cardinale, Rosso Veneziano, Rosso di Persia, Terra cotta, Castagno, Ciliegia, Corallo, Melograno, Rosso Scarlatto, Vermiglione etc…. Posso percepire tutte le sfumature del rosso se non padroneggio questi concetti? (Per una considerazione del rapporto tra linguaggio e cose, dal punto di vista del dibattito tra filosofi della scienza, vedi il vecchio post)

2) Che rapporto c’è tra il vocabolario che imparo ad usare durante il corso di pittura e la mia capacità d’osservare certe sottili sfumature di colore nelle cose che mi circondano? E - per restare alla moda - tra le parole che apprendo (con molta fatica) ad usare durante il corso di sommelier e la complementare capacità che acquisisco (con analoghi sforzi) di discernere le sfumature di sapore della mia esperienza gustativa?

3) Che ruolo gioca la mia educazione (sviluppo della capacità percettiva ed estensione del mio vocabolario) all’interno dei processi con cui percepisco gli eventi (non solo percettivi, la domanda vale anche per quelli politici e storici, ma è più comodo partire dai casi base)?


Verso una teoria della sfumatura. (De Lillo Vs Calvino, II Puntata. Ciclo dei dialoghi)

"11 gennaio 1955

Talvolta penso che l’educazione che dispensiamo qui sia più adatta a un cinquantenne che ha capito di aver mancato il bersaglio al primo giro. Troppe idee astratte. Verità eterne a destra e a sinistra. Ti servirebbe di più guardarti una scarpa e nominarne le parti. A te in particolare, Shay, visto da dove vieni.
Questo parve rianimarlo. Si sporse sopra la scrivania e fissò, letteralmente, i miei stivali bagnati.
– Sono oggetti orribili, vero?
– Sì senza dubbio.
– Nominami le parti. Coraggio. Qui non siamo così ricercati, non siamo così intellettualmente chic da non poter esaminare uno studente faccia a faccia.
– Nominare le parti, – dissi. – D’accordo. Stringhe.
– Stringhe. Una su ogni scarpa. Procedi.
Alzai un piede e lo girai goffamente.
– Suola e tacco.
– Sì, continua.
Posai di nuovo il piede a terra e fissai lo stivale, che mi parve inespressivo quanto uno scatolone chiuso.
– Procedi, ragazzo.
– Non c’è molto da nominare, le pare? Un davanti e un dietro.
– Un davanti e un dietro. Mi fai venire voglia di piangere.
– La parte arrotondata sul davanti.
– Sei talmente eloquente che devo fare una pausa per riavermi. Hai nominato le stringhe. Come si chiama il lembo sotto le stringhe?
– La linguetta.
– Be’?
– Il nome lo sapevo, soltanto che non l’avevo vista.
Padre Paulus fece il suo piccolo numero, buttandosi a corpo morto sulla scrivania e sussultando lievemente come se fosse in preda a una terribile angoscia.
– Non l’hai vista perché non sai guardare. E non sai guardare perché non conosci i nomi.
Tentennò il capo come per rimproverarmi aspramente, con un gesto teatrale, e si ritrasse dal piano della scrivania, lasciandosi cadere sulla sedia girevole e guardandomi di nuovo prima di fare un quarto di giro deciso e sollevare la gamba destra quel tanto che bastava perché il piede, o meglio la scarpa, trovasse una sistemazione sul bordo della scrivania, punta all’insù. Una normalissima scarpa da prete nera.
– D’accordo, – disse. – Suola e tacco li conosciamo.
– Sì.
– E abbiamo identificato la linguetta e le stringhe.
– Sì, – dissi.
Delineò con il dito una striscia di pelle che attraversava il bordo superiore della scarpa e scendeva sotto la stringa.
– Cos’è? – chiesi io.
– Dimmelo tu. Cos’è?
– Non lo so.
– È il risvolto.
– Il risvolto.
– Il risvolto. E questa sezione rigida sopra il tacco. Questo è il rinforzo.
– E questo pezzo a metà tra il risvolto e la striscia sopra la suola. Questo è il dorso.
– Il dorso, – ripetei.
– E la striscia sopra la suola. Quello è il guardone.
Ripetilo, ragazzo. – Il guardone.
– Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano. E l’area frontale che copre il collo della scarpa come si chiama?
– Non lo so.
– Non lo sai. Si chiama tomaia.
– Tomaia.
– Ripetilo.
– Tomaia. L’area frontale che copre il collo della scarpa. Credevo di non dover imparare le cose a memoria.
– Sono le idee, che non devi imparare a memoria. E non prenderci troppo sul serio quando arricciamo il naso di fronte all’apprendimento a memoria. La ripetizione a memoria aiuta a costruire l’uomo. E la stringa la fai passare attraverso che cosa?
– Questo dovrei saperlo.
– Certo che lo sai. I buchi su entrambi i lati e sopra la linguetta.
– Non mi viene in mente la parola. Occhiello.
– Forse ti lascerò vivere, dopotutto.
– Gli occhielli.
– Sì. E il rivestimento metallico su ciascuna estremità della stringa?
Diede un colpetto all’oggetto in questione con il dito medio.
– Questo non lo saprei neanche tra un milione di anni.
– L’aghetto.
– Neanche tra un milione di anni.
– Il puntale o aghetto.
– L’aghetto, – ripetei.
– E il piccolo anello di metallo che rinforza il bordo dell’occhiello attraverso cui passa l’aghetto. Stiamo facendo la fisica del linguaggio, Shay.
– L’anellino.
– Lo vedi?
– Sì.
– Questa è la guarnizione, – disse.
– Oddio, ragazzi.
– La guarnizione. Imparala, conoscila e amala.
– Sto andando fuori di testa.
– Questa è la conoscenza arcana definitiva. E quando porto la scarpa dal calzolaio e lui la mette su una forma per fare le riparazioni, un blocco di legno a forma di piede. Come si chiama?
– Non lo so.
– Si chiama semplicemente forma da scarpa.
– Mi si sta spaccando la testa.
– Le cose di ogni giorno rappresentano la conoscenza più trascurata. Questi nomi sono vitali per il tuo progresso. Cose quotidiane. Se non fossero importanti, non useremmo una parola così splendida di derivazione latina. Ripetila, – mi intimò.
– Quotidiano.

(…)
Mi oltrepassò con lo sguardo, facendo un ragionevole cenno d’assenso, e io mi girai per andarmene. Per un po’ camminai avanti e indietro attraversando la piazza nella tempesta di neve. Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo al mondo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei.


Underworld, Frammenti degli anni ’50 e ’60, pp. 576 – 580 .

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Dettagli del calzolaio, dettagli del falegname.

La terza lezione americana di Calvino è dedicata al valore dell' Esattezza, di cui all’inizio lo scrittore definisce 3 significati. Il terzo significato (della terza lezione) è l'accezione che mi interessa “un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”. A tal proposito Calvino riprende un dialogo dalle Città invisibili in cui Kublai Kahn gioca a scacchi con Marco Polo e compara le sue conquiste alle mosse vincenti di una partita.

“La conclusione finale cui lo porta questa operazione - scrive Calvino - è che l’oggetto delle sue conquiste non è altro che il tassello di legno sul quale ciascun pezzo si posa un emblema del nulla…
Ma in quel momento avviene un colpo di scena: Marco Polo invita il Gran Khan a osservare meglio quello che gli sembra il nulla:


'Ormai Kublai Kan non aveva piú bisogno di mandare Marco Polo in spedizioni lontane: lo tratteneva a giocare interminabili partite a scacchi. La conoscenza dell'impero era nascosta nel disegno tracciato dai salti spigolosi del cavallo, dai varchi diagonali che s'aprono alle incursioni dell'alfiere, dal passo strascicato e guardingo del re e dell'umile pedone, dalle alternative inesorabili d'ogni partita. Il Gran Khan cercava d'immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del gioco a sfuggirgli. Il fine d'ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Qual era la vera posta? Allo scacco matto, sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del vincitore, resta il nulla: un quadrato nero o bianco. A forza di scorporare le sue conquiste per ridurle all'essenza, Kublai era arrivato all'operazione estrema: la conquista definitiva, di cui i multiformi tesori dell'impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato.

Allora Marco Polo parlò: - La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di
siccità: vedi come si dispongono le fibre? Qui si scorge un nodo appena accennato: una gemma tentò di spuntare un giorno di primavera precoce, ma la brina della notte l'obbligò a desistere -. Il Gran Khan non s'era fin'allora reso conto che lo straniero sapesse esprimersi fluentemente nella sua lingua, ma non era questo a stupirlo. - Ecco un poro più grosso: forse è stato il nido d'una larva; non d'un tarlo, perché appena
nato avrebbe continuato a scavare, ma d'un bruco che rosicchiò le foglie e fu la causa per cui l'albero fu scelto per essere abbattuto... Questo margine fu inciso dall'ebanista con la sgorbia perché aderisse al
quadrato vicino, più sporgente...
La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d'ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, degli
approdi, delle donne alle finestre...' ”

Da Marco Polo a Calvino :
“Così negli ultimi anni ho alternato i miei esercizi sulla struttura del racconto con esercizi di descrizione, arte oggi molto trascurata. Come uno scolaro che abbia avuto per compito “Descrivi una giraffa” o “Descrivi il cielo stellato” [descrivi una scarpa], io mi sono applicato a riempire un quaderno di questi esercizi e ne ho fatto materia di un libro. Il libro si chiama Palomar ed è uscito ora in traduzione inglese: è una specie di diario su problemi di conoscenza minimali, vie per stabilire relazioni col mondo, gratificazioni e frustrazioni nell’uso del silenzio e della parola”.

III Lezione – Esattezza pp.81 - 83
FINE

martedì 14 dicembre 2010

L’anello di Carlomagno. (Epigrafe o appendice al post precedente)

Riprese in mano le Lezioni Americane di Calvino dopo il baseball, mi sono imbattuto in una considerazione interessante, soprattutto per chi avesse letto il post precedente (e il rispettivo libro). Il passo si trova nel quinto e sesto paragrafo della seconda lezione, che Calvino dedica al tema (qui non centrale) della Rapidità.
Le lezioni, si sa, erano state scritte per essere tenute come lectures ad Harvard nell’anno accademico 1985-1986. Calvino morì però il 18 settembre 1985 a Siena, e non le lesse mai. Curioso, prima di cominciare, l’aneddoto da cui le Lezioni traggono il loro nome (quando morì, Calvino non aveva ancora dato il titolo italiano alle conferenze - sarà la moglie a farlo e a spiegare il motivo della scelta nella Nota Introduttiva): “Se mi sono decisa finalmente per Lezioni americane è perché in quell’ultima estate di Calvino, Pietro Citati veniva a trovarlo spesso al mattino e la prima domanda che faceva era: Come vanno le lezioni americane? E di lezioni americane si parlava”.

Il dattiloscritto si trovava sulla sua scrivania, in perfetto ordine, ogni singola conferenza in una cartella trasparente, l’insieme raccolto dentro una cartella rigida, pronto per essere messo nella valigia”.

Riporto il testo della lezione fin dall’inizio, per inserire il brano in un contesto (chi volesse può saltare subito agli ultimi due paragrafi):

“Comincerò raccontandovi una vecchia leggenda. L'imperatore Carlomagno in tarda età s'innamorò d'una ragazza tedesca. I baroni della corte erano molto preoccupati vedendo che il sovrano, tutto preso dalla sua brama amorosa, e dimentico della dignità regale trascurava gli affari dell'Impero. Quando improvvisamente la ragazza morì, i dignitari trassero un respiro di sollievo, ma per poco: perché l'amore di Carlomagno non morì con lei. L'imperatore, fatto portare il cadavere imbalsamato nella sua stanza, non voleva staccarsene. L'arcivescovo Turpino, spaventato da questa macabra passione, sospettò un incantesimo e volle esaminare il cadavere. Nascosto sotto la lingua morta, egli trovò un anello con una pietra preziosa. Dal momento in cui l'anello fu nelle mani di Turpino, Carlomagno s'affrettò a far seppellire il cadavere, e riversò il suo amore sulla persona dell'arcivescovo. Turpino, per sfuggire a quell'imbarazzante situazione gettò l'anello nel lago di Costanza. Carlomagno s'innamorò del lago e non volle più allontanarsi dalle sue rive.
Questa leggenda "tratta da un libro sulla magia" è riportata, ancor più sinteticamente di quanto non l'abbia fatto io, in un quaderno d'appunti inedito dello scrittore romantico francese Barbey d'Aurevilly. Si può leggerla nelle note dell'edizione della Pléiade delle opere di Barbey d'Aurevilly (I, p. 1315). Da quando l'ho letta, essa ha continuato a ripresentarsi alla mia mente come se l'incantesimo dell'anello continuasse ad agire attraverso il racconto.
Cerchiamo di spiegarci le ragioni per cui una storia come questa può affascinarci. C'è una successione d'avvenimenti tutti fuori della norma che s'incatenano l'uno all'altro: l'innamoramento d'un vecchio per una giovane,un'ossessione necrofila, una propensione omosessuale, e alla fine tutto si placa in una contemplazione melanconica: il vecchio re assorto alla vista del lago. "Charlemagne, la vue attachée sur son lac de Constance, amoureux de l'abîme caché", scrive Barbeyd'Aurevilly nel passo del romanzo a cui rimanda la nota che riferisce la leggenda. (Une vieille maîtresse).
A tenere insieme questa catena d'avvenimenti c'è un legame verbale, la parola"amore" o "passione" che stabilisce una continuità tra diverse forme d'attrazione, e c'è un legame narrativo, l'anello magico,che stabilisce tra i vari episodi un rapporto logico, di causa ed effetto. La corsa del desiderio verso un oggetto che non esiste,un'assenza, una mancanza, simboleggiata dal cerchio vuoto dell'anello, è data più dal ritmo del racconto che dai fatti narrati. Così come tutto il racconto è percorso dalla sensazione della morte in cui sembra dibattersi affannosamente Carlomagno aggrappandosi ai legami della vita, un affanno che si placa poi nella contemplazione del lago.
Il vero protagonista del racconto è, comunque, l'anello magico: perché sono i movimenti dell'anello che determinano quelli dei personaggi; e perché è l'anello che stabilisce i rapporti tra loro. Attorno all'oggetto magico si forma come un campo di forze che è il campo del racconto. Possiamo dire che l'oggetto magico è un segno riconoscibile che rende esplicito il collegamento tra persone o tra avvenimenti:una funzione narrativa di cui potremmo rintracciare la storia nelle saghe nordiche e nei romanzi cavallereschi e che continua a presentarsi nei poemi italiani del Rinascimento. Nell'Orlando furioso assistiamo a un'interminabile serie di scambi di spade, scudi, elmi, cavalli, ognuno dotato di proprietà caratteristiche,cosicché l'intreccio potrebbe essere descritto attraverso i cambiamenti di proprietà di un certo numero d'oggetti dotati di certi poteri, che determinano le relazioni tra un certo numero di personaggi.
Nella narrativa realistica l'elmo di Mambrino diventa la bacinella d'un barbiere, ma non perde importanza né significato; così come importantissimi sono tutti gli oggetti che Robinson Crusoe salva dal naufragio e quelli che egli fabbrica con le sue mani. Diremmo che dal momento in cui un oggetto compare in una narrazione, si carica d'una forza speciale,diventa come il polo d'un campo magnetico, un nodo d'una rete di rapporti invisibili. Il simbolismo d'un oggetto può essere più o meno esplicito, ma esiste sempre. Potremmo dire che in una narrazione un oggetto è sempre un oggetto magico.”

Da Italo Calvino, Lezioni americane. Six memos for the next millenium. (Con nota introdutiva di Esther Calvino) Einaudi 2009.

domenica 12 dicembre 2010

La differenza arriva quando viene colpita la palla. Allora niente è più lo stesso.

“Si sa dunque che è nato nel '36, che è di origine italiana (padre e madre sono originari della provincia di Campobasso) e che è cresciuto nel Bronx, vicino a Arthur Avenue, detestando la scuola che considerava una perdita di tempo e una gran noia e adorando "ogni forma di baseball immaginabile", […]. Che il territorio dei suoi giochi, come per tanti italo-americani, è stata la strada. Che non si sente legato in maniera particolare alle sue origini italiane. Che si è laureato in Scienze della Comunicazione. Che per qualche tempo ha fatto un lavoro che non amava , il copywriter pubblicitario”.

La traiettoria della palla del famoso fuoricampo di Bobby Thomson, Polo Grounds, New York 1951.


Underworld è considerato da vari critici uno dei lavori migliori dello scrittore, nonché uno dei romanzi più importanti degli ultimi decenni, vincitore di numerosi premi. E’ un esempio significativo della letteratura postmoderna americana”


Don de Lillo è dunque un autore appartenente alla corrente del cosiddetto romanzo postmoderno americano, di cui rappresenta forse il più grande esponente insieme a Thomas Pynchon (il famosissimo scrittore ‘recluso’ – l’autore dell’Inganno del lotto 49 - che nessuno ha mai visto e di cui l’ ultima foto nota risale agli anni ’50. qui documentario BBC). Underworld è il titolo di un libro uscito nel 1997, il romanzo da cui vorrei iniziare per estendere ‘il ciclo dei dialoghi’, iniziato con rimando a soli film, anche a brani tratti da testi scritti. Prima però qualche informazione sul racconto e sul suo autore:

Su De Lillo:

“Lontanissimo dal cosiddetto minimalismo, generoso e abbondante, è uno scrittore alla ricerca del Grande Romanzo Americano - l'araba fenice inseguita da ogni scrittore Usa che si rispetti, il romanzo che dirà tutto dell'America, la rappresenterà, parlerà con la sua voce.”

Sul romanzo:

Insieme a Rumore Bianco e Libra (un’ impressionante ricostruzione a metà tra realtà e fantasia dell'assassinio di Kennedy visto dalla parte di Oswald), Underworld (un grandioso affresco di cinquant'anni di America) è uno dei tre "grandi romanzi americani" di De Lillo

L'home run di Thomson sul Daily News, 1951.

Si tratta della biografia di una pallina da baseball, dal 3 ottobre 1951 fino agli anni ’90. La palla è il filo che tiene insieme storie di innumerevoli personaggi, le quali a loro volta sono intessute (e impregnate) nella Grande Storia Americana. Leggendo ci si trova quindi a seguire il passaggio della palla attraverso la storia (ma allo stesso tempo si vede la storia passare dentro la palla, i due processi diventano complementari), in un percorso in cui si intrecciano e ci si mostrano scorci di vita del Bronx, la bomba atomica (una presenza dell'immaginario americano post-bellico quasi ossessiva nel libro), il ballo in maschera di Truman Capote, una miriade di oggetti vecchi e nuovi, lo scorrere delle esistenze di una rete di personaggi finti e veri (nei capitoli del romanzo, che non sono ordinati temporalmente – vedi sotto - si cambia velocemente collocazione temporale e locale; i fili che legano le differenti storie si dipaneranno solo lentamente).

Tra questi ci sono ad esempio Lenny Bruce (il noto comico, cui Bob Dylan ha dedicato una canzone e che i Beatles hanno immortalato nella copertina dell'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band - la quarta faccia in alto da sinistra) e John Edgar Hoover (direttore dell’FBI dal 1924 al 1972), che assiste insieme a Frank Sinatra alla partita forse più famosa della storia del baseball , quella tra i Giants e i Dodgers a New York (3 ottobre 1951) vinta con un miracoloso fuoricampo di Bobby Thomson (prima foto sopra).

“Tra loro c’è anche J. E. Hoover. Sta guardando dall’ampio corridoio in cima alla rampa. Ha detto a Rafferty che resterà alla partita. Andarsene non servirebbe a niente. La Casa Bianca darà la notizia tra un’ora. Edgar odia Harry Truman, gli piacerebbe vederelo contercesi su un parquet, stroncato da un attacco di cuore, ma non può criticare il presidente. Dando la notizia per primi, impediremo ai sovietici di presentare l’ accaduto a modo loro, indorando la pillola. E in una certa misura allenteremo la tensione del pubblico. La gente capirà che abbiamo conservato il controllo delle notizie, se non della bomba, che è già qualcosa” (Underworld, p. 23, Il trionfo della morte.)

Prima pagina del New York Times, 4 ottobre 1951.

Mentre Edgar pensa alla bomba appena sganciata dai Russi, la partita si conclude col noto fuoricampo ed entra nella storia (ci hanno addirittura girato un documentario ), facendo di Branca e Thompson (rispettivamente lanciatore e battitore) due personaggi famosi, a tal punto che i due si ritroveranno anni dopo immortalati alla Casa Bianca col presidente Nixon (in una foto che, nel romanzo, sarà un oggetto che ritroveremo appeso in molti luoghi).


Ma chi sia tornato a casa con la palla storica, resta tutt'oggi un mistero.

“Nessuno ha la palla – disse Sims – La palla non è mai saltata fuori. Non se n’è mai saputo niente, chiunque l’abbia avuta per le mani. Questo fa parte della … come si dice? … della mitologia di quella partita. Nessuno si è mai fatto avanti per rivendicare l’autenticità della palla con argomenti credibili. Oppure si è fatta avanti una dozzina di persone, ciascuna con una palla da baseball, il che è sostanzialmente lo stesso” (Underworld p. 100. Primavera-estate 1992).

La palla non è il protagonista del libro (non c’è un protagonista nel libro se non la storia, una corale con molti personaggi tutti o quasi principali; uno di essi, Nick - cresciuto nel Bronx, educazione cattolica - per biografia e tipo di riflessioni è stato considerato un alter ego dell’autore); essa è piuttosto un buco nella storia (quella cosiddetta 'vera') da cui inizia un’altra storia (vera, finta, vera-e-finta, mescolata, bisognerebbe interrogare Carlo Ginzburg a proposito).


(Foto dello smarrimento. Il pilone 35, almeno secondo il romanzo, è verde - la pallina sembra averci sbattuto contro. Non ho controllato su eventuali foto del Polo Grounds, lo stadio dove si disputò l'incontro, se l'informazione sia corretta)


La palla diventa così la cerniera di una grossa tessitura che si svolge davanti al lettore, in cui eventi epocali, persone, oggetti, particolari talvolta insignificanti, la palla stessa , rifiuti di ogni genere ("scorie nucleari, pattume generico, feticci sentimentali, erotici, artistici" sono un altro leitmotiv insieme all'atomica) si mischiano e si legano, presentati con una tecnica narrativa che ci permette di saltare dagli uni agli altri a piacimento, ce li presenta temporalmente e spazialmente separati, connettendoli con rimandi, dettagli che incontriamo in più punti (temporali) nel corso del suo procedere:

“Leggere questa prosa può stranamente risultare come usare un web browser: il focus narrativo si muove da personaggio e personaggio tanto velocemente quanto siamo introdotti ad essi, e il quadro temporale regolarmente cambia me mostrare ulteriori connessioni tra gli attori principali della storia. Questo dispositivo – la letteratura come ipertesto – è particolarmente efficace nelle prime parti della novella, e la tecnica non si intromette mai nella storia stessa”.

Nella storia appare brevemente un collezionista di chincaglie del baseball, un vecchio paranoico (giovane in un passo successivo) rinchiuso in una cantina piena di oggetti per la magior parte insignificanti raccolti nel corso di anni ("spazzatura nostalgica dei tempi andati" , secondo un commento di un amico del compratore della sfera - Primavera-state 1992) tra i quali la palla, che ha rintracciato inseguendola per 22 anni e ricostruendone la storia a ritroso fino al giorno dopo il match (poi c'è un buco nella sua storia, del collezionista):

“- Marvin: La gente colleziona, colleziona, non fa che collezionare. C’è gente che insegue qualsiasi oggetto del periodo della Germania nazista. Nazisterie. Grandi collezioni che cercano la grande storia. Ciò significa forse che gli oggetti accumulati in questa stanza sono del tutto insignificanti? Qual è a parola che sto cercando, che suona come se ti iniettassero un vaccino nel muscolo del braccio?

- Brian: Innocuo si dice.

- Marvin: Sì ecco, innocuo. Cosa sarei io innocuo? Anche questa è storia, le ultime pagine. Storia alla rovescia. Felice, tragica, disperata.” (Underworld, p. 181. Metà anni ottanta\primi anni novanta)


Il libro è una specie di collezione, come quella cheMarvin raccoglie inseguendo la storia della palla a ritroso, in lungo e in largo per l’America.

“La palla non portava né fortuna né sfortuna. Era un oggetto che passava di mano. Ma spingeva la gente a raccontargli cose, confidargli segreti di famiglia e storie personali inconfessabili, a singhiozzare di cuore sulla sua spalla. Perché sapevano che lui era il loro, come dire, il loro strumento di sfogo.
Le loro storie avrebbero assunto un rilievo diverso, sarebbero state assorbite da qualcosa di più vasto, il lungo viaggio della palla stessa e l'assurda marcia di Marvin nel corso dei decenni. “


Non sono le storie narrate da Marvin ad essere oggetto del libro, piuttosto quella di Marvin e della sua ricerca decennale è una storia– che si interrompe nella prima parte – delle molte che compongono il racconto. Nel brano da cui è tratto il dialogo che vi voglio proporre, Nick, il protagonista di uno dei fili del romanzo (lavora nel trattamento industriale dei rifiuti, oggetti di ogni tipo, l’ultimo stadio della ‘storia’ di ogni oggetto), parla ad un prete di un riformatorio in cui è stato rinchiuso (per aver ucciso un uomo di cui ancora si sa pochissimo, ma non mi dilungo su questo aspetto). Visto però che il dialogo non ha niente ha che fare con la palla, lo rimanderò al prossimo intervento, sostituendolo con un altro scambio di battute pseudo- Orwelliano il cui protagonista è sempre il vecchio paranoico, che cammina nel suo scantinato mostrando la collezione ad un visitatore:

Disse a Marvin: – sono cresciuto nel Midwest. Gli Indians di Cleveland erano la mia squadra. E ieri sera, mentre venivo qui in aereo per affari, ho letto un articolo sulla rivista della compagnia aerea, il pezzo su di lei e la sua collezione, e ho provato l’impulso irresistibile di contattarla e vedere queste cose.
Toccò i risvolti di seta della giacca da smoking di Babe Ruth.
- E’ stata mia figlia a convincermi a fare l’intervista, – disse Marvin. – Pensa che io stia diventando una specie di, come-si-chiama.
- Recluso
- Sì, un vecchio recluso con mezzo stomaco soltanto. E così adesso la mia fotografia è nella tasca posteriore di ventimila poltrone. Questa è l’idea che lei ha dell’uscire e incontrare gente. Mi ficcano là dentro insieme ai sacchetti per il vomito.
Brian disse: - sono stato a un’esposizione di macchine e mi ha fatto uno strano effetto.
- Cioè che effetto le ha fatto?
- Macchine degli anni Cinquanta. Non lo so.
- Lei si sta auto commiserando. Pensa che le stia sfuggendo qualcosa ma non sa cosa. Si sente solo nella vita. Ha un lavoro, una famiglia e un testamento già redatto, alla sua età, perché quello che conta è morire preparati, di una morte legale, con tutte le carte in regola. Morire solvibili, così gli eredi possono convertire tutto in denaro sonante. Un tempo pensava di avere le stesse dimensioni dell’intero universo. Adesso è una scheggia smarrita. Guarda le macchine di una volta e si ricorda di uno scopo, di una meta.
- E’ ridicolo, vero? Ma probabilmente è anche irrilevante.
- Niente è irrilevante – disse Marvin – Lei è preoccupato e spaventato. Vede che la guerra fredda sta per finire, e la cosa la lascia senza fiato.
Brian passò attraverso un tornello proveniente da un vecchio campo da baseball. Scricchiolò con un suono nostalgico.
- La guerra fredda? – disse – Bah, non mi sembra che stia finendo. Comunque, se così fosse, tanto meglio. Ne sarei felice.
- Lasci che le spieghi una cosa a cui, forse, non ha mai fatto caso.
Marvin era seduto su una poltrona di fianco a un vecchio baule di attrezzature su cu era impressa la scritta “Boston Red Stockings”. Indicò con un gesto ampio la poltrona dall’altra parte del baule e Brian andò a sedersi.
- Bisogna che i leader di entrambe le parti facciano continuare la guerra fredda, è l’ unico elemento di stabilità. E’ onesta, è affidabile. Perché quando la tensione e la rivalità finiscono, allora sì che comincia il vero incubo. Tutto il potere e l’intimidazione dello stato smetteranno di circolare nel suo sangue e lei non si ritroverà più ad essere .. oddio, cosa volevo dire?
- Non lo so.
- Ah, sì, non sarà più il punto di riferimento principale. Perché verrà aggredito da altre forze bellicose incalzanti. La guerra fredda è sua amica. Per lei è necessario che rimanga predominante.
- Predominante su che cosa?
- Non lo sa? Non capisce che tutta la faccenda è collegata al predominio nel mondo? Non ha visto cosa sta succedendo in Inghilterra? Quarantamila donne che manifestano intorno a una base aerea per protestare contro bombe e missili. Alcune di loro sono uomini travestiti. Ci sono anche dei buddisti che suonano i loro tamburi.
Brian non sapeva come reagire a queste osservazioni. Voleva parlare di vecchi giocatori di baseball, delle dimensioni dello stadio, di soprannomi e di cittadine della minor league. Era per questo che era venuto, per arrendersi alla nostalgia, per ascoltare il suo opsite raccontare aneddoti famosi, le storie ormai classiche di azioni stupide e di risse scatenate, i duelli di lancio che continuavano fino al crepuscolo, storie che Marvin collezionava da mezzo secolo – l’eros intenso della memoria che distingue il baseball dagli altri sport.
Marvin sedeva con gli occhi fissi sul tabellone segnapunti, il sigaro lievemete sfilacciato all’estremità bruciacchiata.

- Credevo avremo parlato di baseball
- Stiamo parlando di baseball. Questo è baseball. Lo vede l’orologio? – disse Marvin – E’ fermo sulle tre e cinquantaquantotto. Perché? Forse perché è l’ora in cui Thomson batté il fuoricampo sul lancio di Branca?
Lo chiamò Branker.
- Oppure perché quello è il giorno in cui scoprimmo che i russi avevano fatto esplodere una bomba atomica. Vuol sapere una cosa di quella partita?
- Cosa? – fece Brian.
- C’erano ventimila posti vuoti. E sa perché?
- Perché?
- Mi riderà in faccia.
- No, glielo prometto.
- D’accordo allora. Lei è mio ospite e voglio che senta a suo agio.
- Come mai tanti posti vuoti per la partita più importante dell’anno?
- Di molti anni, - intervenne Marvin.
- Di molti anni.
- Perché certi eventi hanno una componente di paura inconscia. In cuor mio sono convinto che la gente intuiva la catastrofe nell’aria. E non c’entrava con chi avrebbe vinto o perso la partita. Sentivano una forza tremenda che avrebbe obliterato.. è questa la parola?
- Sì, obliterato.
- Allora, che arebbe completamente obliterato la partita. Deve sapere che per tutti gli anni Cinquanta la gente è rimasta chiusa dentro casa. Uscivano solo per salire in machina. I parchi pubblici non erano pieni di gente così come adesso. Un museo era una serie di stanze vuote con cavalieri in armatura e un guardiano insonnolito ogni sette secoli.
- In altre parole.
- In altre parole, c’era una tendenza sotterranea a restarsene a casa. Perché nell’aria incombeva una minaccia.
- E’ lei vorrebbe dirmi che la gente ha avuto un’intuizione su questa giornata particolare?
- Sì, è come se lo sapessero. Intuivano che c’era un legame tra la partita e un avvenimento sconvolgente che si sarebbe verificato dall’altro capo del mondo.
- Queste partita in particolare.
- Non il giorno prima o il giorno dopo, perché si trattava della partita del tutto-o-niente tra i due più odiati rivali della città. La gente aveva il presentimento che quella partita fosse legata a qualcosa di molto più grosso. Per cui passarono attraverso il processo mentale di chiedersi, Voglio davvero uscire e trovarmi tra la folla, che è il posto peggiore in cui essere se succede qualcosa di orribile, oppure sarà meglio che resti a casa con la mia famiglia e il mio televisore nuovo di zecca, come suggerisce il buon senso, nel suo mobiletto impiallacciato d’acero.
Con sua sorpresa Brian non respinse questa teoria. Il che non significa necessariamente che vi credesse, però non la respinse. Ci credeva provvisoriamente, qui in questa stanza sotto il livello della strada, in una casa di legno, nel pomeriggio di un giorno di feriale a Cliffside Park, New Jersey. Era liricamente vera, mentre usciva dalla bocca di Marvin Lundy e arrivava all’orecchio medio di Brian, indimostrabilmente vera, remotamente e in ammissibilmente vera, ma non del tutto avulsa dalla storia, non priva di autentica storia interiore.
- E devo dire che la faccenda ha un interesse perché quando fabbricano una bomba atomica, questa è bella, il nucleo radioattivo lo fanno della stessa dimensione di una palla da baseball – disse Marvin.
- Ho sempre creduto che avesse la dimensione di un pompelmo.
- No. Di una palla da baseball regolamentare da major league, non inferiore a ventitré centimetri di circonferenza, secondo il regolamento.”

FINE
(Il corsivo delle parti non-dialogate è mio)




Il post è messo insieme a partire da varie recensioni del libro cui ho attinto (e che ho tradotto) liberamente 1, 2., da un vecchio articolo di Repubblica e uno del Sunday Times. Per una serie di ulteriori articoli sui lavori di De Lillo (l’ultimo romanzo, Point Omega, è uscito lo scorso febbraio) qui. Il titolo del post è anch'esso una citazione dal romanzo: "La differenza arriva quando viene colpita la palla. Allora niente è più lo stesso. Gli uomini scattano, rialzandosi dalle loro posizioni accosciate, e tutto si sottomette al volo della palla che schizza via come un sasso sull'acqua [...]" (Underworld, p. 23 Il trionfo della morte.)