sabato 3 ottobre 2009

Leonardo (ancora) e le pozzanghere. [Segue da Le Nuvole]

Segue da: "Le Nuvole"

Destare l'ingegno
Leonardo Da Vinci aveva l’abitudine di annotare i suoi pensieri, in qualsiasi luogo si trovasse, su dei singoli fogli, usando poche parole scritte in un codice non sempre comprensibile. Ogni argomento veniva sviluppato e ripetuto diverse volte.
Dopo la morte di Leonardo, il suo erede Francesco Melzi riunì questi scritti in una raccolta, dal titolo di Trattato della pittura, di cui diverse copie circolarono (scusate la ridondanza) nei circoli accademici italiani. Le migliaia di fogli condensati nel Trattato possono considerarsi l’opera più significativa di Leonardo, nonché il suo testo più importante sull’arte.
Ora, cosa c’entra questo con le nuvole?
Nel capitolo XX del Trattato Leonardo suggerisce al pittore una bizzarra pratica ispirativa, la quale sembra alquanto ricordare il processo di immaginificazione delle nuvole descritto nel post precedente. La pratica consiste in:

1) Fissare con lo sguardo una pozzanghera, un muro imbrattato, una macchia qualsiasi
2) Aspettare
3) Ammirare le straordinarie sembianze di volti, paesaggi e quant’altre strabilianti forme ancora vi affiorino.

Così il Da Vinci:

“E questo è: se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se arai a inventionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine de' diversi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi ; ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. E interviene in simili muri e misti come del sono di campane, che ne' loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabulo che tu imaginerai” (p.151)

C’è qualcosa dunque che accomuna i muri imbrattati, le pozzanghere, le nuvole (e le campane) e ne fa un pozzo da cui emergono, attraverso lunga e concentrata osservazione, immagini fantastiche?
Si direbbe che il trait d'union di tutte queste superfici sia il disordine, il caso, la non-struttura. In tutti i casi gli stimoli che ci vengono proposti sembrano costitutivamente ambigui, confusi. “Ci sono altri passi, anche più interessanti, in cui Leonardo esamina la capacità che le cose confuse hanno di destare l’ingegno a nuove invenzioni”.

La macchia, il contorno, il non definito.
Nel 1788 Il medico e poeta romantico tedesco Justinus Kerner utilizzava delle macchie d’inchiostro su fogli di carta piegata per stimolare la fantasia sua e dei suoi amici. Kerner coniò per le sue chiazze il termine Kleksographien (dal tedesco: Kleks = macchia) e scrisse molte poesie sulle misteriose apparizioni che queste macchie gli suggerivano. Essendo uno spiritista (nonché primo medico a documentare l' apparizione di alcuni Geister e fenomeni di medium) non stupisce che si trattasse perlopiù di fantasmi. Il modo in cui queste immagini si formino nelle macchie ci è descritto in versi dallo stesso Kerner:

Diese Bilder aus dem Hades,
Alle schwarz und schauerlich,
(Geister sind's, sehr niedern Grades,)
Haben selbst gebildet sich
Ohn mein Zuthun, mir zum Schrecken,
Einzig nur – aus Tintenflecken.
1[1]

Queste immagini dall’Ade
nere tutte e orribili
(Spirti son, di vile grado)
Da sé la forma si son date
Senza il mio aiuto sorte, per il mio terrore,
così, unicamente, da macchie d’inchiostro.

[Justinus Kerner, Kleksographien. Mit Illustrationen nach den Vorlagen des Verfassers, Stuttgart, Leipzig, Berlin, Wien 1890 (geschrieben 1857),p. 12. ]

E' interessante notare come dal caso e dall'ambiguo se ne escano ancora una volta, involontariamente, delle forme. In tale utilizzo della macchie Kerner (e la sua combriccola) potrebbe essere considerato il predecessore di un illustre psicologo svizzero, tale Hermann Rorschach, che ispirato forse da qualche macchia kleksografica, con cui pare di dilettasse in giovinezza, inventò il noto ed omonimo test psicologico, le macchie di Rorschach. (Tra l’altro si noti la somiglianza tra la Kleksographie di Kerkner qui sotto a sinistra e la tavola 5 del Rorschach a destra).





Il vantaggio del Rorschach sulle nubi è che si può replicare, e confrontare le interpretazioni date da soggetti diversi.

Tanto il test di Rorschach quanto le Kleksographien si fondano su una procedura abbastanza familiare:

1) Fissare con o sguardo una macchia (tavola di Rorschach)
2) Aspettare
3) Descrivere le forme che vi si delineano.

Il Rorschach è un test psicodiagnostico proiettivo.

Pro – getto, dunque.
Proiezione deriva dal latino pro-iacio, letteralmente gettare davanti. Quando staccate un contenuto da voi stessi per poi porvelo davanti agli occhi ed osservarlo, come se fosse qualcosa di esterno, ecco che state proiettando qualcosa che vi appartiene. Assumiamo il termine nel suo significato lato, non specificatamente geometrico (le proiezioni ortogonali) né psicanalitico (per cui il vostro capufficio diventa vostro padre), anche se ci sono tratti comuni ad entrambi questi due sensi.
Ora, la proiezione, ci insegnano gli psicologi, è una facoltà inconscia, particolarmente stimolata in contesti destrutturati, ambigui, non definiti, proprio e non a caso come quelli sopra menzionati. Essa interverrebbe laddove l’informazione è manchevole o poco chiara, provvedendo al suo completamento, alla sua “interpretazione”, attraverso il collegamento col noto, stabilendo un legame con contenuti propri al soggetto che la esercita.
In questo modo si abbozza, in maniera enormemente grossolana e approssimativa, la facoltà che è chiamata in causa da alcuni (Ernst Gombrich, per noi, in particolare) per spiegare il processo di metamorfosi delle nuvole, delle pozzanghere e delle macchie, nonché tutti i processi di illusione, artistica e non, e infine, più in generale, quelli della visione stessa.

I Carracci ed il TAT
Uno tra i primi a rappresentare l'effetto per cui le nuvole assumono sembianze umane fu il Mantegna, che nel quadro "La virtù scaccia il vizio" (il primo in alto) dipinge un volto che assiste alla scena proprio nel cirro in alto a sinistra (particolare qui a fianco).
Sono tuttavia i fratelli Carracci a farci sperimentare giocosamente il modo in cui agisce la nostra, di proiezioni. I due fratelli infatti, oltre ad essere annoverati tra i padri del genere della caricatura (che si basa forse ancora una volta su un gioco proiettivo - quello di un volto noto su uno caricato), sono anche gli inventori dei cosiddetti “indovinelli scherzosi”, che invitano lo spettatore a colmare\completare con l’immaginazione il senso dei tratti da essi abbozzati sulla tela, traendone così il corrispondente significato. Esempio:
cosa vedete nelle disegno qua sotto a sinistra (rettangolo sormontato da triangolo)?

La maggioranza delle persone cui è sottoposta la domanda risponde “Squalo in una vasca”. Questo dà da riflettere su quanto Damien Hirsch (col suo “squalo in formalina”, opera d’arte contemporanea venduta più cara al mondo) e il film Lo Squalo abbiano plasmato la nostra immaginazione. In realtà si tratta, almeno secondo i Carracci, di un frate cappuccino addormentato dietro il pulpito (il fatto che i Carracci avessero più familiarità coi frati che con gli squali è importante per il nostro punto di vista). La retta sormontata da un cerchio e da un triangolo è un muratore con la sua cazzuola, visti di profilo al di là del muro.
In realtà sul foglio ci sono solo quattro linee (e forse anche questa è una proiezione\interpretazione), ma, come si vede, l’operazione proiettiva cui ci invitano i carracci, ben consapevoli del meccanismo della visione, una volta riuscita dona a questi segni un senso preciso.
Ora l'esempio dei Carracci è quasi paradigmatico per capire ed elucidare come la proiezione intervenga del processo della visione. Essa si configura come un’operazione essenziale per la lettura di un immagine in quanto interpreta i segni, li coordina, istituisce dei rimandi tra l'uno e l'altro dando vita ad un insieme dotato di senso.
La proiezione vi aggiunge qualcosa (le relazioni tra i segni?), ed è un aggiunta decisiva per un’attribuzione di senso ed una comprensione di tratti che forse, altrimenti, resterebbero una frammentarietà irrelata, destrutturata e insensata. Essa getta così un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra tre linee e uno squalo, cercando un’interpretazione delle prime attraverso il secondo. La proiezione seleziona e organizza i dettagli\segni percettivi e, mediante il collegamento con il noto, ci restituisce il senso “Di quegl’ enimmi, o divinarelli pittorici, che furono fra essi così frequenti, e che in poche linee, o segni gran cose racchiudevano e rivelavano”.

Nessun commento: