La presente ricerca si propone di indagare l’attività svolta a Firenze dall’organizzazione combattente Prima linea nel periodo compreso tra il 1977 e il 1979.
L’intendimento principale è stato quello di effettuare, attraverso lo spoglio di una fonte giornalistica, una ricostruzione cronologica dell'operato della formazione armata suddetta. La fonte ritenuta più confacente allo scopo prefissato è stata individuata nel quotidiano “La Nazione”.
Il movente che ha indirizzato verso la scelta di tale tematica è stato lo scorgere, nell’ambito della storiografia sulla lotta armata, una serie di lacune su tutta quell’esperienza di violenza politica organizzata non riconducibile a una matrice brigatista. La riflessione critica, infatti, su ciò che è stato in Italia il fenomeno terroristico negli anni Settanta del Novecento, è stata a lungo monopolizzata da un’attenzione quasi esclusiva alla storia delle Brigate rosse, trascurando colpevolmente “l’altra lotta armata”, vale a dire quella pratica armata definibile “movimentista” (scaturita cioè dal movimento e che a esso faceva riferimento). Mancando un’analisi sistematica, il che si riscontra nell’assenza di testi storiografici esaurienti, la conoscenza di Prima linea, e quindi la sua comprensione, viene a risultare poco accurata. Le uniche monografie di cui disponiamo, vale a dire il volume di Giuliano Boraso, “Mucchio selvaggio”[1] e i due lavori di Sergio Segio, “Miccia corta”[2] e “Una vita in Prima linea”[3], non possono essere accolte se non senza riserve. La pecca principale dell’opera di Boraso è il fatto che nel testo non venga affrontata una riflessione metodologica e di critica delle fonti, facendo sì che la trattazione risulti viziata da luoghi comuni e linee interpretative poco solide. Gli elaborati di Segio appartengono invece al genere memorialistico, e come ogni testimonianza autobiografica applicata alla ricerca storica, pongono necessariamente complesse problematiche metodologiche. Nicola Tranfaglia, a questo proposito, ci prospetta, nella prefazione a un testo che raccoglie memorie di ex-militanti, le criticità nell’utilizzarle quali fonti della ricostruzione storica:
L’aspirazione di fondo che ha permeato la realizzazione del presente elaborato, è stata quella di poter contribuire, sia pur in modesta parte, alla ricostruzione, ergo alla comprensione, della complessità degli anni in cui, da parte di settori minoritari interni al mondo di sinistra, venne esperita la via della lotta armata quale strumento per la trasformazione del presente.
Il movente che ha indirizzato verso la scelta di tale tematica è stato lo scorgere, nell’ambito della storiografia sulla lotta armata, una serie di lacune su tutta quell’esperienza di violenza politica organizzata non riconducibile a una matrice brigatista. La riflessione critica, infatti, su ciò che è stato in Italia il fenomeno terroristico negli anni Settanta del Novecento, è stata a lungo monopolizzata da un’attenzione quasi esclusiva alla storia delle Brigate rosse, trascurando colpevolmente “l’altra lotta armata”, vale a dire quella pratica armata definibile “movimentista” (scaturita cioè dal movimento e che a esso faceva riferimento). Mancando un’analisi sistematica, il che si riscontra nell’assenza di testi storiografici esaurienti, la conoscenza di Prima linea, e quindi la sua comprensione, viene a risultare poco accurata. Le uniche monografie di cui disponiamo, vale a dire il volume di Giuliano Boraso, “Mucchio selvaggio”[1] e i due lavori di Sergio Segio, “Miccia corta”[2] e “Una vita in Prima linea”[3], non possono essere accolte se non senza riserve. La pecca principale dell’opera di Boraso è il fatto che nel testo non venga affrontata una riflessione metodologica e di critica delle fonti, facendo sì che la trattazione risulti viziata da luoghi comuni e linee interpretative poco solide. Gli elaborati di Segio appartengono invece al genere memorialistico, e come ogni testimonianza autobiografica applicata alla ricerca storica, pongono necessariamente complesse problematiche metodologiche. Nicola Tranfaglia, a questo proposito, ci prospetta, nella prefazione a un testo che raccoglie memorie di ex-militanti, le criticità nell’utilizzarle quali fonti della ricostruzione storica:
La testimonianza è una fonte che deve essere letta con particolare cautela sia perché, sia pure di frequente, in maniera del tutto inconscia, può esserci un intento di giustificazione, sia perché i fatti a cui la testimonianza si riferisce sono accaduti, almeno in parte, alcuni anni fa e la successiva critica compiuta dai testimoni può per qualche aspetto aver sbiadito e reso opaco il ricordo di quel passato[4].L’approssimazione interessa persino la semplice ricomposizione circostanziata della “prassi rivoluzionaria”, portata avanti, nei pochi ma densi anni in cui è stato attivo, dal raggruppamento armato. In questo ammanco finanche dei dati più basici, sulla scorta dei quali poter poggiare una meditazione fondata, si è scorto un margine praticabile di intervento. Tramite lo spoglio della fonte giornalistica quotidiana, si è voluto provvedere a ricomporre le azioni armate compiute prevalentemente nel contesto fiorentino, ma con una prospettiva dischiusa anche al quadro nazionale.
L’aspirazione di fondo che ha permeato la realizzazione del presente elaborato, è stata quella di poter contribuire, sia pur in modesta parte, alla ricostruzione, ergo alla comprensione, della complessità degli anni in cui, da parte di settori minoritari interni al mondo di sinistra, venne esperita la via della lotta armata quale strumento per la trasformazione del presente.
1 G. Boraso, Mucchio selvaggio, Roma, Castelvecchi, 2006.
2 S. Segio, Miccia corta, Roma, DeriveApprodi, 2005.
3 Id., Una vita in Prima linea, Milano, Rizzoli, 2006.
4 D. Novelli - N. Tranfaglia, Vite sospese, Garzanti, Milano, 1988, p. 12.
2 S. Segio, Miccia corta, Roma, DeriveApprodi, 2005.
3 Id., Una vita in Prima linea, Milano, Rizzoli, 2006.
4 D. Novelli - N. Tranfaglia, Vite sospese, Garzanti, Milano, 1988, p. 12.
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