sabato 24 luglio 2010

... Passare la propria giornata a crescere le proprie forze, il proprio valore, la propria anima e cultura, per farle servire a qualcosa.

A Fernanda Pivano, Mondovì Breo.


[Roma,] venerdì [4 giugno 1943]

Cara Fern,

non è vero che sono parole esistenzialiste. Io dell'esistenz. me ne infischio. Sono parole dell'esperienza - che conta molto di più. E del resto Lei non ci ha capito niente. Se la cava dicendo «Per gli altri cosa?» e poi passa e insiste a blaterare di sé e delle Sue disgrazie e che L'hanno amata troppo e che è ingrata e che è leggera e punita e rotolerà dai tetti ecc. Questa in inglese si chiama maudlin self-pity, piangolosa compassione di sè, ed è un male che conosco bene per essere stato la mia tentazione continua per più di trent'anni. Dice di averne ventisei e si comporta come un bambino di dieci. Io andavo sempre sull'aia, vicino al letame, e mi sporcavo le gambe, e dicevo «Ecco tutti mi scacciano, io sono solo, sono nel letame, puzzo, mi piangono gli occhi, io sono un disgraziato, io sono stupido ecc.» Non Le manca che di avvoltolarsi nel letame e poi sarà completa. Ebbene, provi il letame, a Mondovì non ne mancherà: si spogli nuda e ci si rotoli dentro. Capisce il simbolo? Ma si ricordi una cosa: io, nel più forte del mio masochismo, dicevo «Ma verrà un giorno che li mangerò tutti, che sarò un grand'uomo, che farò qui, che farò là ecc.» Tra una cosa e l'altra ci si può salvare. Avrà il diritto di lamentarsi quando avrà fatto qualcosa, sinora no perché non ha provato. E se le consigliavo di donarsi e non di chiedere, è perché la miglior prova che valiamo qualcosa sta nell'aver fatto qualcosa per gli altri, proprio quegli altri che Lei ignora per matta bestialità. Si capisce che, così a occhio e croce, gli altri non esistono nemmeno; ma bisogna donarsi appunto perché questo è l'unico modo per farli esistere, e allora non si è più soli, allora si vale quel tanto appunto che si è donato. Donarsi come?
Donarsi vuol dire rispettare sé stessi, anzitutto, cioè passare la propria giornata a crescere le proprie forze, il proprio valore, la propria anima e cultura, per farle servire a qualcosa. Donarsi vuol dire non avere tempo di guardare al passato e quindi non compiangersi. Mi fa ridere coi suoi 26 anni. Si può cominciare a 40. Lei pensa all'età unicamente perché è ancora prigioniera della Sua vecchia forma mentis che giudica le ragazze dal loro rendimento sessuale e quindi ritiene che il più bello sia passato a 26 anni. Storie.
Del resto, anche con questa storia, la faccia finita. Si faccia violare dal primo atleta che Le capita e poi vedrà le cose con gli occhi più chiari. È un consiglio disinteressato che Le do. E a proposito di gambe non dica nemmeno per scherzo che se le romperebbe, perché quando si hanno belle come le sue è un delitto.
Non Le scrivo che cosa faccio né chi vedo perché tanto Lei non si interessa degli altri.
Brontolo!

1 commento:

Le_cas ha detto...

EPPURE LA FORMA DEI FIORI IN VASO E IL TONO E LA CALLIGRAFIA SONO COSE DI QUESTI GIORNI.

2 Luglio 1943

Oltre il sogno del 22 Giugno, stanotte sognato tipico. Dopo una recita fatta da me solo in enorme teatro, applauditissimo, preparandomi al secondo tempo, entra la cameriera solita ai camerini tetrali con pianta fiorita in vaso. Chi sarà? Cartello. Calligrafia nota. Letterina agrodolce.
Tipico particolare di sogno tutto scoperta come la lettura di romanzo. Lo stupore era genuino. Se non sapevo chi mi mandava i fiori, a leggerlo mi stupivo e un po’ spaventato, come potevo essere lo stesso che immaginava la trama del sogno?
Eppure, la forma dei fiori in vaso e il tono e la calligrafia della lettera sono cose di questi giorni. La cameriera è un vecchio ricordo cinematogr. Non potrebbe darsi che, di secondo in secondo, un ricordo si giustapponesse a un ricordo e, in questo caso, io ricevessi i fiori perché infinite volte ho letto e visto che in camerino si ricevono fiori? Ma resta sempre inspiegato che in quel momento ero a mille miglia da Fern. eppure il biglietto era di lei, che, badarci, era in teatro e io lo sapevo solo allora.

Da “Il Mestiere di vivere. Diario 1935 – 1950”