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lunedì 23 agosto 2010

Prima linea

Dal profilo (pubblico) di Facebook di Enrico (detto Chicco) Galmozzi, uno degli esponenti più in vista della dirigenza dell'organizzazione armata Prima linea e tra i suoi fondatori.


Qualcuno mi ha chiesto la differenza fra Prima Linea e le Brigate Rosse.
Lasciando perdere le differenze ideologiche (loro marxisti-leninisti e noi una accozzaglia di riferimenti presi da tutte le esperienze più residuali e perfino eccentriche della storia rivoluzionaria) la principale distinzione consisteva nel fatto che noi non intendevamo essere un Partito. La nostra ambizione era di essere la prima linea dei movimenti di lotta, il loro braccio armato, una sorta di sviluppo dei “servizi d'ordine”. L'unica funzione che ci arrogavamo, se mai, era quella di fornire elementi di teoria e prassi per l' auto-organizzazione proletaria di combattimento.
A parte Sergio Segio, che è nato clandestino e già nei primi anni '70 al bar beveva il caffè stringendo la tazzina fra le nocche dell'indice e del medio per non lasciare le impronte digitali, tutti i militanti di Prima Linea venivano dai movimenti di lotta di massa e a quelli facevano riferimento.
Non scrivevamo “direzioni strategiche” e non ci sentivamo minimamente dirigenti di alcunché: per noi, nella nostra visione utopica, la direzione del processo rivoluzionario spettava all'intelligenza collettiva del movimento...
E poi... cosa potevamo dirigere...eravamo ragazzi...credo che l'età media non arrivasse ai 25 anni...
Come a tutti i ragazzi ci piaceva la musica, fare festa, ai maschietti piacevano le femminucce e alle femminucce i maschietti (ecco una differenza profonda: in Prima Linea le donne erano numerose praticamente quanto i maschi). Insomma eravamo ragazzi...pieni di sogni e di spirito di avventura come tutti i ragazzi..di diverso forse solo che noi non avevamo paura di un cazzo...
Di tutta la storia mi piace ricordare il senso di appartenenza a una comunità: infatti anche quando abbiamo perso, e nonostante che abbiamo avuto anche noi un sacco di pentiti, alla fine, anche da sconfitti, siamo riusciti a organizzare una delle più spettacolari evasioni di massa della storia......


mercoledì 28 luglio 2010

Prima linea a Firenze

Vi sfodero la prima pagina dell'introduzione alla mia tesi di laurea.


La presente ricerca si propone di indagare l’attività svolta a Firenze dall’organizzazione combattente Prima linea nel periodo compreso tra il 1977 e il 1979.
L’intendimento principale è stato quello di effettuare, attraverso lo spoglio di una fonte giornalistica, una ricostruzione cronologica dell'operato della formazione armata suddetta. La fonte ritenuta più confacente allo scopo prefissato è stata individuata nel quotidiano “La Nazione”.
Il movente che ha indirizzato verso la scelta di tale tematica è stato lo scorgere, nell’ambito della storiografia sulla lotta armata, una serie di lacune su tutta quell’esperienza di violenza politica organizzata non riconducibile a una matrice brigatista. La riflessione critica, infatti, su ciò che è stato in Italia il fenomeno terroristico negli anni Settanta del Novecento, è stata a lungo monopolizzata da un’attenzione quasi esclusiva alla storia delle Brigate rosse, trascurando colpevolmente “l’altra lotta armata”, vale a dire quella pratica armata definibile “movimentista” (scaturita cioè dal movimento e che a esso faceva riferimento). Mancando un’analisi sistematica, il che si riscontra nell’assenza di testi storiografici esaurienti, la conoscenza di Prima linea, e quindi la sua comprensione, viene a risultare poco accurata. Le uniche monografie di cui disponiamo, vale a dire il volume di Giuliano Boraso, “Mucchio selvaggio”[1] e i due lavori di Sergio Segio, “Miccia corta”[2] e “Una vita in Prima linea”[3], non possono essere accolte se non senza riserve. La pecca principale dell’opera di Boraso è il fatto che nel testo non venga affrontata una riflessione metodologica e di critica delle fonti, facendo sì che la trattazione risulti viziata da luoghi comuni e linee interpretative poco solide. Gli elaborati di Segio appartengono invece al genere memorialistico, e come ogni testimonianza autobiografica applicata alla ricerca storica, pongono necessariamente complesse problematiche metodologiche. Nicola Tranfaglia, a questo proposito, ci prospetta, nella prefazione a un testo che raccoglie memorie di ex-militanti, le criticità nell’utilizzarle quali fonti della ricostruzione storica:
La testimonianza è una fonte che deve essere letta con particolare cautela sia perché, sia pure di frequente, in maniera del tutto inconscia, può esserci un intento di giustificazione, sia perché i fatti a cui la testimonianza si riferisce sono accaduti, almeno in parte, alcuni anni fa e la successiva critica compiuta dai testimoni può per qualche aspetto aver sbiadito e reso opaco il ricordo di quel passato[4].
L’approssimazione interessa persino la semplice ricomposizione circostanziata della “prassi rivoluzionaria”, portata avanti, nei pochi ma densi anni in cui è stato attivo, dal raggruppamento armato. In questo ammanco finanche dei dati più basici, sulla scorta dei quali poter poggiare una meditazione fondata, si è scorto un margine praticabile di intervento. Tramite lo spoglio della fonte giornalistica quotidiana, si è voluto provvedere a ricomporre le azioni armate compiute prevalentemente nel contesto fiorentino, ma con una prospettiva dischiusa anche al quadro nazionale.
L’aspirazione di fondo che ha permeato la realizzazione del presente elaborato, è stata quella di poter contribuire, sia pur in modesta parte, alla ricostruzione, ergo alla comprensione, della complessità degli anni in cui, da parte di settori minoritari interni al mondo di sinistra, venne esperita la via della lotta armata quale strumento per la trasformazione del presente.


1 G. Boraso, Mucchio selvaggio, Roma, Castelvecchi, 2006.
2 S. Segio, Miccia corta, Roma, DeriveApprodi, 2005.
3 Id., Una vita in Prima linea, Milano, Rizzoli, 2006.
4 D. Novelli - N. Tranfaglia, Vite sospese, Garzanti, Milano, 1988, p. 12.