[Roma,] domenica 30 [maggio 1943]
Cara Fern,
la Sua lettera mi ha molto commosso e se potessi prenderei subito il treno per provarLe che non è vero che la circondi il gelo e l'ostilità. Ma non capisco perché si trovi tanto male proprio adesso che sa che sa di poter lavorare nove ore al giorno e quindi pressoché mantenersi. Non ha sempre aspirato all'indipendenza? A meno che Le succeda come a tutti: una volta ottenutala, non sa più che farne. Si ritorna cioè a quanto Le ho sempre consigliato: si faccia una vita interiore - di studio, di affetti, d'interessi umani che non siano soltanto di «arrivare», ma di «essere» - e vedrà che la vita avrà un significato. Io non ho potuto muovermi anche perché abbiamo avuto i questurini in casa per parecchio tempo - una nostra impiegata è stata arrestata¹ - e s'immagini le grane.
Cara Fern, la solitudine che Lei sente, si cura in un solo modo, andando verso la gente e «donando» invece di «ricevere». (È la solita sacrosanta predica). Non che io aneli di essere quello a cui Lei dovrebbe donare - tanto più che i doni che Lei potrebbe farmi non sarebbero ancora la soluzione ma aumenterebbero il pasticcio. Si tratta di un problema morale prima che sociale e Lei deve imparare a lavorare, a esistere, non solo per sé ma anche per qualche altro, per gli altri.
Fin che uno dice «sono solo», sono «estraneo e sconosciuto», «sento il gelo», starà sempre peggio. E' solo chi vuole esserlo, se ne ricordi bene. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri, bisogna umiliarsi e servire. E questo è tutto.
La nostra posizione qui è molto precaria. Il padrone ogni tanto fa progetti per riportare la baracca in Piemonte - che non mi dispiacerebbe. Ma intanto - tira e molla - non faccio più niente e non ho più pace. La smetta con quella stupida storia dell'assegno. Pensi piuttosto a tradurre l' Addio, e con l'assegno si comperi un monopattino.
Coraggio e arrivederci.
la Sua lettera mi ha molto commosso e se potessi prenderei subito il treno per provarLe che non è vero che la circondi il gelo e l'ostilità. Ma non capisco perché si trovi tanto male proprio adesso che sa che sa di poter lavorare nove ore al giorno e quindi pressoché mantenersi. Non ha sempre aspirato all'indipendenza? A meno che Le succeda come a tutti: una volta ottenutala, non sa più che farne. Si ritorna cioè a quanto Le ho sempre consigliato: si faccia una vita interiore - di studio, di affetti, d'interessi umani che non siano soltanto di «arrivare», ma di «essere» - e vedrà che la vita avrà un significato. Io non ho potuto muovermi anche perché abbiamo avuto i questurini in casa per parecchio tempo - una nostra impiegata è stata arrestata¹ - e s'immagini le grane.
Cara Fern, la solitudine che Lei sente, si cura in un solo modo, andando verso la gente e «donando» invece di «ricevere». (È la solita sacrosanta predica). Non che io aneli di essere quello a cui Lei dovrebbe donare - tanto più che i doni che Lei potrebbe farmi non sarebbero ancora la soluzione ma aumenterebbero il pasticcio. Si tratta di un problema morale prima che sociale e Lei deve imparare a lavorare, a esistere, non solo per sé ma anche per qualche altro, per gli altri.
Fin che uno dice «sono solo», sono «estraneo e sconosciuto», «sento il gelo», starà sempre peggio. E' solo chi vuole esserlo, se ne ricordi bene. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri, bisogna umiliarsi e servire. E questo è tutto.
La nostra posizione qui è molto precaria. Il padrone ogni tanto fa progetti per riportare la baracca in Piemonte - che non mi dispiacerebbe. Ma intanto - tira e molla - non faccio più niente e non ho più pace. La smetta con quella stupida storia dell'assegno. Pensi piuttosto a tradurre l' Addio, e con l'assegno si comperi un monopattino.
Coraggio e arrivederci.
Pavese
¹ Tra i numerosi arresti per attività antifascista del maggio 1943 a Roma, vi era stato anche quello di Lola Berardelli (futura moglie di Felice Balbo), arrestata negli uffici della casa editrice in via Claudio Monteverdi.
Da: Cesare Pavese, Lettere 1926-1950, vol. 2, a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1966, pp. 458-459.
Da: Cesare Pavese, Lettere 1926-1950, vol. 2, a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1966, pp. 458-459.
2 commenti:
TU CERCHI LA SCONFITTA
22 novembre 1945
Non ci si libera di una cosa evitandola, ma attraversandola
7 dicembre 1945
T. ti aveva detto soltanto che le poesie ti bastavano,
e le aveva amate molto,
F., senza discutere il riflesso pratico, le aveva
lette con curiosità paziente,
B. Ti dice che non avrai altro, e criticamente
le ama molto.
E’ già due volte in questi giorni che metti accanto T, F, B. C’è qui un riflesso del ritorno mitico.
Quel che è stato, sarà. Non c’è più remissione. Avevi 37 anni e tutte le condizioni favorevoli.
Tu cerchi la sconfitta.
Diventare un Bobi un Leonardo un Tom qualunque, che orrore.
Il colpo basso che ti ha dato Tina lo porti sempre nel sangue. Hai fatto tutto per incassarlo, l'hai perfino scordato, ma non serve scappare. Lo sai che sei solo? Lo sai che non sei nulla? Lo sai che ti lascia per questo? Serve a qualcosa parlare? Serve a qualcosa dirlo? Hai veduto, non serve a niente. Perché s'interessa di un tisico? Per la fica la fica la fica - oh Pavese
Da "Il mestiere di vivere. Diario 1935 - 1950"
[T = Tina. Donna amata intorno al 1935 da Pavese, “la cui identità i curatori, d’intesa con l’editore hanno ritenuto di non rivelare per comprensibili motivi di riservatezza”. F= Fern., compare nel diario anche col soprannome di GÔgnin (vedi 17 agosto 1940 “Il modo di GÔgnin di ‘parlare a vanvera’ smettendo capricciosamente un argomento e riprendendolo poi a gusto, è diventato uno stile, e diventa suo amico chi lo accetta e lo adotta. Lei se ne compiace e se ne fa un vezzo. Potenza dello stile”) B= Bianca Garufi, siciliana d’origine, conosciuta nella sede romana dell’Einaudi, comunista. Ha ispirato apvese le poesie de La Terra e La Morte, scritte a Roma tra il 27 ottobre e il 3 dicembre di quest’anno, riunite la prima volta sulla rivista padovana “Le tre Venezie”, 1947, e poi postume nel vol. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.]
EPILOGO
26 Ottobre 1946
Do dentro al romanzo. La Piv. si è sposata stamattina. Sono raffreddato. Bene.
[E' l'ultima volta che F., Fern, Gognin appare nei diari. In quest'ultima volta è diventata Piv. - unica occorrenza]
Da "Il Mestiere di Vivere"
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